Intervista a Ted Gioia

Intervista a Ted Gioia

Enrico Bettinello ha intervistato Ted Gioia in occasione dell'uscita per EDT della sua Storia del jazz. Proponiamo il testo per gentile concessione de il giornale della musica.

 

Il jazz, una storia d'amore 

GDM_buonoSin dall’uscita della sua prima edizione, nel 1997, la History Of Jazz di Ted Gioia è stata salutata come uno dei testi chiave per studiosi e semplici appassionati di questa musica. Per la sua scorrevolezza e completezza, nonché la capacità di inserire le vicende personali dei singoli artisti in un contesto stilistico, storico e sociale complesso, ma disegnato con grande immediatezza di lettura, il libro rientra tra quelli che non dovrebbero mancare in ogni biblioteca che, come si usava dire una volta, “si rispetti”.

Abbiamo colto l’occasione della traduzione italiana del libro, curata da Francesco Martinelli, per chiedere a Gioia come sia nata l’idea di scrivere una storia del jazz.

«Ho scritto otto libri nella mia vita, ma questo è l’unico che è nato su suggerimento di un’altra persona: è stato il mio editor alla Oxford University Press, Sheldon Meyer, a chiedermi di scriverlo» ci racconta Gioia. «Inizialmente avevo pensato di scrivere una biografia di Stan Getz, ma Sheldon ha voluto invece una storia completa del jazz! Ho cominciato allora a scrivere un capitolo, così, tanto per vedere se ero in grado di affrontare un impegno di questo tipo e quello che ne è venuto fuori lo potete leggere voi stessi nelle prime pagine del libro! Mi ero così divertito a scrivere quel capitolo che ho accettato subito tutto il progetto».
Le difficoltà in un simile lavoro sono chiaramente più di una, non ultima quella di scegliere chi starà dentro e chi fuori, una delle cose che per prime i critici e gli appassionati vanno a vedere. «È certamente sempre molto difficile decidere chi includere o chi escludere da un libro come questo» ammette l’autore «ma credo che la sfida più difficile sia probabilmente quella di creare una sorta di flusso e continuità nella scrittura. Volevo che il libro fosse davvero una “storia” e non solo una raccolta di date e fatti. Metto grande attenzione nella scrittura di ogni frase e ogni paragrafo e penso che un libro storico debba essere scritto con la stessa qualità di un romanzo o di una poesia».

Nel libro grande spazio è lasciato ai principali protagonisti del jazz, dalle origini ai giorni nostri, musicisti come Louis Armstrong, Duke Ellington, Charlie Parker, Ornette Coleman, John Coltrane, ma è anche interessante l’analisi di figure minori, qualcuna magari sottovalutata.

«Credo che chi scrive di jazz sia spesso molto diffidente nei confronti dei musicisti che ottengono un grande successo di pubblico o che vendono molti dischi» confessa Gioia «e così per qualche strana ragione può capitare che alcuni dei musicisti più popolari nella storia del jazz siano stati alla fine quelli più sottovalutati una volta scomparsi. Uno dei miei obiettivi era quello di essere certo di dare un’attenzione sufficiente a questi musicisti, parlo di figure come quelle di Dave Brubeck, Oscar Peterson, Stan Kenton, Stan Getz e molti altri. In questo momento poi la comunità jazz negli Stati Uniti non dà sufficiente attenzione e merito ai musicisti europei, così nel libro ho voluto dare il giusto spazio anche alla scena del Vecchio Continente».

Le storie di jazz sono ricche di risvolti drammatici e aneddoti leggendari, tra notti fumose, droga, alcol, donne e, spesso, tragiche morti. La bravura di Gioia sta nel restituirci molte di queste vicende in un contesto storico e sociale articolato che rende spesso ancora più vivida la narrazione.

«Penso che ognuno di noi sia affascinato dai grandi artisti che muoiono giovani - ci dice - e non smettiamo mai di domandarci che cosa sarebbe successo se queste personalità creative avessero continuato a vivere. Nella storia del jazz molti musicisti importanti ci hanno lasciato troppo presto, penso solo per fare qualche esempio a gente come Bix Beiderbecke, Charlie Christian, Jimmy Blanton, Chick Webb, Fats Navarro, Clifford Brown, Scott LaFaro o Booker Little. Quello che ho cercato di fare nel libro è stato di raccontare sia la tragicità che la grandezza delle loro vite».

Nel capitolo finale, aggiunto all’edizione più recente del libro e anche nella traduzione italiana, Gioia sottolinea le veloci trasformazioni che tutto il processo economico e di diffusione della musica sta attraversando. Il disco come “oggetto di desiderio”, ma anche come oggetto tout cour, come principale strumento per ascoltare la musica sta inesorabilmente perdendo d’importanza. Che questo apra nuove possibilità per la musica dal vivo?

«Credo che il modo migliore per “vivere” il jazz resti sempre e comunque quello a stretto contatto, di persona – risponde Gioia - e il posto migliore per ascoltare questa musica rimane il jazz club; sono state le mie serate adolescenziali in locali così che mi hanno fatto diventare un appassionato di jazz per tutta la vita. Mi chiedi se i rapidi mutamenti tecnologici porteranno i giovani appassionati a ascoltare di più il jazz dal vivo? Forse non di persona, credo, ma potranno sempre più apprezzare delle performance dal vivo trasmesse in streaming su internet. Qualche giorno fa ho seguito un concerto jazz in rete e nonostante non possa essere minimamente come stare lì, era certo meglio che ascoltare solo un disco».

Per l’appendice discografica del libro Gioia ha scelto di elencare singoli brani piuttosto che i classici “album”, una decisione che lo studioso ci dice di avere pensato «perché il concentrarsi su un brano invece che su un disco spinge a un ascolto più attento». Tra l’altro il ritorno del “singolo” è tipico delle modalità di ascolto di oggi, ad esempio attraverso Spotify o YouTube e Ted Gioia è un ottimo conoscitore della rete, attivissimo sia attraverso Facebook che Twitter.

«Internet è una fantastica opportunità per i musicisti di jazz» sostiene. «È questo il luogo in cui costruiscono oggi il proprio pubblico e dove possono portare avanti la propria carriera. Ci permette anche di conoscere artisti di ogni parte del mondo, che altrimenti avremmo avuto difficoltà a incontrare. Tutto questo mi fa supporre che sia la tecnologia che l’evoluzione stessa della musica saranno elementi in grado di accrescere la globalizzazione del jazz come una forma d’arte». E di fenomeni “globali” si occuperà anche il prossimo libro di Gioia, che sarà una storia delle canzone d’amore, dall’antica Mesopotamia fino ai giorni nostri.

di
Enrico Bettinello
© giornale della musica | n. 307, ottobre 2013