Intervista a Hamilton

Intervista a Hamilton

La voce di una leggenda vivente. A cura di Francesco Martinelli.

Come ha reagito Konitz alla pubblicazione del libro? Come si potrà capire dalla lettura, Konitz è una persona difficile da accontentare, ma nel complesso è contento e so che gli ha fatto piacere la risonanza e l'interesse che il libro ha suscitato. Credo inoltre che un lavoro così possa essere utile alla causa dell'improvvisazione intuitiva. Insomma, quello che posso dire è che siamo rimasti buoni amici! 

Come suona Konitz, ora? L'ho sentito a Birmingham, in Inghilterra, in dicembre, con il pianista Dan Telfer - che per età potrebbe essere suo nipote - e ti dirò che a 82 anni Lee suona benissimo. Anche Telfer è stato eccezionale. Lee è ancora più sperimentale di quanto sia mai stato. Scrivere il libro e ascoltare intensamente la sua musica mi ha portato a realizzarne la statura di assoluta leggenda vivente.

Quali sono state le reazioni al libro da parte dei lettori e degli altri musicisti? Solo lodi! Guarda, è buffo, ma la sola critica che mi ricordo è un commento nella recensione su «The Wire» sulla troppa importanza data ai musicisti di jazz bianchi, o qualcosa del genere. Una critica non seria, e neppure ben motivata credo, in quella che era per il resto una recensione molto positiva. Continuo a ricevere messaggi di ringraziamento via email, da musicisti e lettori; messaggi che passo subito a Konitz!

Cosa hai imparato nel corso del lavoro? Ho imparato come scrivere un libro! [ride] E come mantenere a lungo aperto un dialogo su varie difficili questioni musicali ed estetiche. E mi sono divertito!

Quale pensi che sia il punto fondamentale del libro? Che gli improvvisatori dovrebbero puntare a suonare in modo intuitivo, il più possibile spontaneamente, e che è possibile farlo davvero. La carriera di Lee lo dimostra in modo decisivo.

Il libro così com'è rispecchia il progetto originale o nel corso della scrittura si è modificato? In realtà il libro era nato come una autobiografia che avrei dovuto scrivere per conto di Lee. Ma a lui questa idea non piaceva, ed è stata una fortuna che non gli sia piaciuta, perché a quel punto ho avuto l'idea di un progetto diverso e assai migliore. Più autentico, trasparente e onesto, con le vere parole dette da Konitz, e un dialogo, invece di una specie di finta narrazione. Poi mi è venuta l'idea di inserire interviste con persone che avevano lavorato con Lee, e così via. Andando avanti nel progetto però continuava a crescere, e così ho dovuto tagliarlo un po' - purtroppo ho dovuto togliere alcune delle interviste, come quella a Geri Allen.

Vuoi consigliare ai nostri lettori qualche ascolto legato ai vari capitoli del libro? Beh, i dischi sono tutti discussi nel corso dei vari capitoli, ma dovendo indicare i miei favoriti direi: per gli anni Quaranta, Birth of the Cool; per gli anni Cinquanta, Lee Konitz and Warne Marsh su Atlantic; per gli anni Sessanta, Motion; per gli anni Settanta, Jazz a Juan; per gli anni Ottanta, The New York Album; per gli anni Novanta, Another Shade of Blue; dopo il 2000, Gong With Wind.

Quali pensi che siano i lettori ideali? Anche se non è un libro tecnico, mi sembra che ci siano osservazioni importanti su come suonare, studiare e insegnare jazz. Lo credo anch'io, e molti musicisti mi hanno fatto la stessa osservazione. Ma in realtà credo che chiunque sia interessato seriamente al jazz leggendolo potrà capire meglio come questa musica viene veramente creata.