Lettura: Ferrovia di Santa Fe

Lettura: Ferrovia di Santa Fe

Kansas, 27 maggio 1936

 

Il rollio del treno mi cullava, come una ninna nanna. Chiusi gli occhi, stufa della campagna polverosa, e provai a immaginare quel cartello che conoscevo solo dai racconti. Quello che campeggiava all’ingresso della città, con enormi lettere blu che recitavano MANIFEST: CITTÀ CON UN RICCO PASSATO E UN LUMINOSO FUTURO.

Pensai a mio papà, Gideon Tucker. Era un vero portento nel raccontare storie, ma ultimamente non lo faceva pi. tanto spesso. Adesso, quando lo sentivo dire: "Abilene, ti ho mai raccontato di quella volta che…", non mi pareva vero e mi facevo tutt’orecchi, decisa a non perdermi neanche una parola. Spesso mi raccontava di Manifest, la città dov’era vissuto da ragazzo.

Dipingeva immagini di una cittadina allegra, con un gran viavai di gente che si affaccendava e tante botteghe dalle insegne colorate. Com’era bello stare ad ascoltarlo! Era come succhiare una caramella. Morbida e dolce. Quando poi tornava taciturno, io mi aggrappavo al ricordo di quel sapore. E feci così anche quella volta, sul treno che mi portava lontano da lui: cercai di ricordare il gusto delle sue parole. Funzionò, almeno un poco, ma poi mi tornò in mente la nota triste nella sua voce quando mi aveva detto che quell’estate non sarei potuta andare con lui nell’Iowa, dove avrebbe lavorato alla ferrovia. Ultimamente era molto cambiato mio papà. Tutta colpa di quel brutto taglio che mi ero fatta sul ginocchio. La ferita si era infettata e io mi ero ammalata gravemente; i medici dicevano che ne ero uscita viva per miracolo. E Gideon, be’, in un certo senso era come se si fosse fatto un brutto taglio anche lui. Solo che la sua ferita non era guarita, gli bruciava ancora, tanto da costringerlo a spedirmi lontano per l’estate.

Aprii lo zaino e tirai fuori il sacchetto di tela dove tenevo le mie cose più preziose: un abito blu, due monetine luccicanti da dieci cent che mi ero guadagnata raccogliendo bottigliette di soda, una lettera in cui Gideon spiegava chi ero e dove stavo andando, e che sarei stata accolta dal pastore Howard alla stazione di Manifest. E poi la cosa più speciale di tutte: in una scatolina, avvolta in un vecchio foglio del "Manifest Herald" datato 1917, la bussola di mio papà.

Era custodita in un contenitore dorato e a prima vista sembrava un orologio da taschino, ma in realtà era una bussola con tutti i punti cardinali. C’era solo un problema: di solito le bussole indicano il nord, nella mia invece l’ago era tutto svirgolato e ballonzolava puntando qua e là, su e giù. E dire che non era neanche così vecchia, in fondo. Dentro erano incisi il nome del costruttore e la data di fabbricazione: St. Dizier, 8 ottobre 1918. Era un secolo che Gideon voleva farla aggiustare, ma arrivato il momento di partire disse che tanto non gli serviva, che a lui bastava seguire i binari, e l’aveva data a me. Mi piaceva immaginare che la catena della bussola fosse lunghissima e tornasse dritta dritta nella tasca di Gideon, tenendoci legati: io a un’estremità e lui all’altra.

Lisciai bene il foglio di giornale ingiallito. Per la milionesima volta lo lessi da cima a fondo sperando di riuscire a scovare qualche indizio su mio padre, qualcosa che mi parlasse di lui. Ma ovviamente non trovai nulla di nuovo, solo il solito resoconto Ovini&Bovini da una parte e il Notiziario di Hattie Mae: Edizione Inaugurale dall’altra, più un paio di annunci pubblicitari che reclamizzavano i Liberty Bond e il Tonico Capelli Belli Billy Bump. Non sapevo nulla di questa Hattie Mae, a parte quello che aveva scritto in quell’articolo del 1917, ma in un certo senso lei aveva contribuito a proteggere la bussola di Gideon per tutto quel tempo, quindi le ero molto grata. Ripiegai il foglio con cura nella scatola e la misi via nello zaino. La bussola invece la tenni con me, credo che in quel momento sentissi il bisogno di aggrapparmi a qualcosa.