Letture balcaniche

Letture balcaniche

"Balcani", il nome del pregiudizio

Se i termini geografici sono per convenzione neutrali, i Balcani sono stati una chiara eccezione alla regola. Il termine "balcanico", oltre a indicare una catena montuosa bulgara, ha finito per voler dire molto di più, e ha assunto una evidente connotazione ideologica, accompagnata da significati impliciti negativi e da pregiudizi: ripugnanza, passivià, sessismo, omertà, incoerenza, opportunismo, indolenza, superstizione, pigrizia.

Erano popoli indegni di fiducia e caratterizzati da una burocrazia corrotta e fin troppo solerte. Anche nelle stesse lingue della regione la parola Balkan divenne presto sinonimo di sottosviluppo e mancanza di civiltà, tanto che all'inizio del xix secolo una conversazione fra un abitante della penisola balcanica e un occidentale iniziava spesso così: "Vostra Eccellenza non se la passerà molto bene nel nostro paese. D'altronde voi non vi trovate nel mondo cristiano: cosa si può fare tra questi animali di Turchi?".

I Balcani finirono così per evocare non solo un territorio specifico, ma un'idea di caos localizzato, di balcanizzazione, di lotte selvagge e di metodi primitivi per risolverle. Il reverendo Robert Walsh sottolineò che nell'Europa occidentale "l'umanità ha mitigato anche i costumi della guerra", ma non così nella regione balcanica, mentre "i Greci, perfino nel periodo più raffinato della loro storia avevano perpetrato le peggiori efferatezze sia al loro interno che contro gli stranieri, e sempre avevano temuto e subito rappresaglie di simile crudeltà". Non c'è da meravigliarsi se le persone miti e ben educate ritenessero scortese pronunciare la parola "Balcani" in presenza di un pacifista.

 

La bevanda del diavolo

Per adattarsi ai mutevoli gusti dei lettori, la storia del caffè è stata scritta e riscritta piu` volte. Troviamo le prime testimonianze sull'interesse europeo per la bevanda in un capitolo sugli usi e costumi della città di Aleppo, scritto dal medico e botanico tedesco Leonard Rauwolf nel 1571.
In questo testo viene descritto il chaube, "nero quasi come l'inchiostro e molto buono contro le malattie, principalmente quelle dello stomaco". Nonostante la raccomandazione, gli occidentali non si entusiasmarono immediatamente alla bevanda, e all'inizio del XVII secolo, Lord Bacon descriveva le caffetterie turche e quello che vi si beveva come qualcosa di esotico. I viaggiatori occidentali del XVII secolo, che riferivano e raccontavano essenzialmente ogni cosa bizzarra incontrata, fornirono anche molte informazioni su quanto la bevanda fosse popolare e apprezzata in Oriente, ma non mancarono di descriverla come estremamente repellente. Sir Thomas Herbert, ad esempio, che assaggiò per la prima volta il caffè nel corso del suo viaggio in Persia del 1620, lo descrisse come "una bevanda fatta nel Lago dello Stige, nera, densa e amara". Non c'è quindi da meravigliarsi se in Inghilterra incontrò in un primo momento violente opposizioni e venne accusata di essere "una bevanda infernale", "un veleno dell'inferno" o "un veleno che Dio fece nero per accordarsi con il colore del diavolo".

 

Guide turistiche

[Verso la metà del XIX secolo] il Montenegro era descritto come "un oceano pietrificato, con le onde che si alzavano letteralmente come delle montagne"; montagne aspre, aride, ritte in segno di sfida, rocciose e desolate: un paese di case in nuda pietra. [...] I montenegrini vivevano in grande povertà e in evidente stato di bisogno, ma i visitatori stranieri ne ammiravano solo l'orgoglio e la dignità; almeno erano liberi, o così erano descritti dalle guide turistiche...

Costoro [i Montenegrini] sono in genere estremamente poveri. Le loro capanne con il tetto in paglia assomigliano a stalle anzicheÅL ad abitazioni di esseri umani. Gli uomini sono però di aspetto molto dignitoso, e portano con sé un notevole arsenale; le donne sono spesso belle ma presto il loro gradevole aspetto sfiorisce percheÅL compiono lavori maschili. In alcune zone il viaggiatore incontra una società omerica, dove gli unici obiettivi sono la guerra e la poesia, dove l’eroe siede in presenza del menestrello cieco che celebra le sue gesta in battaglia o la sua ultima ceta, o spedizione pirata, pizzicando le corde della sua guzla.*

* K. Baedeker, Austria, including Hungary, Transylvania, Dalmatia and Bosnia

 

Il ponte di Mostar

Tutti gli autori concordano con la tradizione che fa risalire la costruzione al regno di Solimano, tradizione del resto confermata dalle due iscrizioni "indubitabilmente Turche, anche se difficili da decifrare". Come al solito però i pregiudizi non erano facili da superare e le iscrizioni furono credute un semplice riferimento ai lavori di restauro di epoca ottomana, e non alla costruzione del ponte.

Alcuni accusarono addirittura gli ottomani di aver deliberatamente cancellato le originali iscrizioni romane sostituendole con quelle turche, per nascondere i veri autori del ponte. [...] Con il declino dell'Impero Ottomano cambiò anche la percezione del suo grado di civiltà e della sua cultura; a metà del xix secolo veniva considerato "ancora la stessa monarchia Orientale del Trecento"; nella seconda metà del xix secolo era ormai assodato che i turchi "erano semplicemente dei barbari asiatici in Europa".

Aumentando i dubbi sulle loro capacità nel campo della cultura e dell'architettura, si giunse in particolare a chiedersi se fossero in grado di costruire ponti. Qualcuno scrisse che durante il lungo periodo in cui erano stati al potere non erano riusciti a superare un certo stadio costruttivo, e che le moschee di Istanbul (tranne i minareti) erano comunque "sempre copie di Santa Sofia, con qualche leggera variazione, senza alcuna pretesa di originalità. La maggioranza dei ponti in pietra venne dunque considerata "opera di antichi Romani o Greci dell'Impero Bizantino, o perfino Bulgari". All'inizio del xx secolo si era già convinti che i "Turchi non sanno costruire una strada, o un ponte".

 

Uomini con la coda

Chi voleva addentrarsi nei Balcani non trovava solo donne con le dita sporche di unto, ma anche strani esseri. I più zelanti furono in grado di scovare uomini con la coda perfino nel XX secolo: una delle cronache più dettagliate proviene da Philip Thornton, che negli anni '30 incontrò molti personaggi interessanti e usanze conosciute in Occidente solo attraverso i libri.

Fra le sue avventure più bizzarre rammenta di aver visto di persona un uomo con la coda, in un caffè di Sarajevo:

Ero seduto a bere caffe` e mangiare dolci, ascoltando dei musicisti turchi che suonavano in un angolo della stanza. Notai che il Dottore [Il dottor Stanislav Mladović] continuava a guardare con attenzione ogni nuovo arrivato e sussurrò al cameriere il nome di Nazir. “Forse non potrò mostrarvi la sorpresa, Signor Thornton. Non è sempre facile far andare le cose come si vuole”. Non aveva ancora terminato di pronunciare quelle parole che balzò in piedi, attraversò la stanza e scomparve in cucina gridando: “Aspettate. L’ho visto”. Guardai Hassanović, che si limitò a scuotere la testa: non aveva idea di che cosa si trattasse. Il Dottore riapparve sulla porta e ci fece cenno di seguirlo in cucina. “Ecco qui un uomo con la coda” esclamò trionfante, mettendo affettuosamente la mano sulla spalla di un bel giovanotto albanese che non sembrava assolutamente stupito da quella stupefacente rivelazione. Ricordo di aver sentito parlare un tempo di un clan di ghegs che vivevano vicino a Peć ed erano famosi per aver prodotto uomini con la coda. Mi sembrava troppo strano poterne vedere uno e risi allo scherzo del Dottore. Ma non era uno scherzo.
"Vuole dirmi che quest'uomo ha una coda, una vera coda come un cane o un gatto?"
"Non solo ho visto ed esaminato la coda di quest'uomo, ma gli chiederò il permesso che voi la tocchiate, attraverso i vestiti", rispose il Dottore assai infervorato.
Disse qualcosa all'albanese, il quale non obiettò a lasciarmi posare una mano in fondo alla sua spina dorsale sul punto in cui, con orrore misto a stupore, palpai una strana, dura protuberanza che cresceva dalla base della schiena e, come aveva detto il Dottore, si muoveva sotto gli abiti come fosse un dito.
"Siete convinto?"
"Sono convinto. E assolutamente affascinato", risposi.

 

Testi tratti da
Europa selvaggia.
I Balcani nello sguardo dei viaggiatori occidentali

© EDT 2010