Mahler a Budapest

Mahler a Budapest

In questo brano tratto dal capitolo "Budapest. La Prima Sinfonia", de La Grange racconta l'arrivo di Mahler nella capitale magiara e la ricezione della prima grande composizione sinfonica del compositore.

La stampa ungherese annuncia che Mahler dirigerà presto, alla Filarmonica di Budapest, la prima rappresentazione di un Poema sinfonico di cui è autore. Il 13 novembre la capitale ungherese ha già ascoltato tre dei suoi Lieder, i due Leander-Lieder e un Wunderhorn-Lied (Scheiden und Meiden).

Una settimana più tardi, il 19, in presenza di Fritz Löhr e di Otto, Mahler dirige una prova generale al termine della quale scrive alla Società Filarmonica: "Non ascolterò mai la mia opera eseguita così perfettamente". Lo stesso giorno, il "Pester Lloyd" pubblica un lungo articolo di Kornél Ábrányi figlio, che senza alcun dubbio ha intervistato Mahler ed espone qui fedelmente le concezioni del compositore sulla musica “a programma”. Secondo lui, il Poema sinfonico potrebbe intitolarsi “Vita”, perché illustra l’esistenza di un individuo "che vede, sente e prova, di un individuo "che la giovinezza ha colmato di tutte le meraviglie della terra", un individuo al quale "i primi soffi dell’autunno riprenderanno senza pietà tutto ciò che ha prima ricevuto".

La descrizione che segue, dalle "nuvole rosa della giovinezza" alla rassegnazione dell’uomo, è probabilmente la trascrizione fedele delle parole di Mahler, che si sforza qui di consegnare ai suoi ascoltatori il primo dei “programmi” esplicativi della Prima Sinfonia.

Mercoledì 20 novembre, un pubblico molto numeroso si è riunito nella grande Vigadó (Redoutensaal) del Palazzo comunale. Se la “prima parte” del lavoro è accolta piuttosto bene, la Marcia funebre e il Finale precipitano l’uditorio nello stupore e perfi no nell’indignazione: timidi applausi e fi schi energici concludono questo concerto di cui la stampa ungherese riferirà in termini poco lusinghieri. Solo August Beer redige un lungo articolo, allo stesso tempo intelligente e obiettivo, in cui accoglie con favore il virtuosismo orchestrale di Mahler, il suo senso del colore, la sua abilità nell’arte di mescolare i timbri, tuttavia critica le "crude sonorità" scelte dal compositore, i suoi "effetti timbrici" esagerati e le sue "rudezze", che non sono altro, dice, che peccati di gioventù.

Se il lavoro possiede tratti di evidente bellezza, è tuttavia privo di una "idea poetica fondamentale" che gli avrebbe conferito un’unità, cosa che il programma, che Beer ritiene sia stato deciso a posteriori, non riesce a fare. Da parte sua Herzfeld, del "Neues Pester Journal", malgrado sia uno dei più cari amici di Mahler, condanna senza appello un’opera che, "a parte qualche bizzarria melodica, armonica e strumentale, non si eleva mai, nei suoi momenti migliori, al di sopra del livello più mediocre". "Armonia di una semplicità scioccante", "baccano assordante di dissonanze atroci", "mostruosa assenza di gusto": queste espressioni costellano un articolo la cui violenza, benché eccezionale, traduce il sentire comune a Budapest. Del resto, altri giornali meno importanti, tra cui la "Nemzet" o l’"Hírlap", sono anch’essi molto critici.

La totale incomprensione della stampa e del pubblico ungheresi si può spiegare con l’ignoranza, a Budapest, dei lavori che fungono da transizione fra i primi romantici e Mahler, vale a dire Berlioz, i poemi sinfonici di Liszt e le ultime opere di Wagner. L’anno seguente, toccherà a Strauss ricevere un’accoglienza altrettanto glaciale con un poema sinfonico, tuttavia molto innocente, "Aus Italien". Fatto sta che Mahler si ricorderà più avanti di come a Pest i suoi amici lo "evitavano con terrore" e di aver "errato [per la città] come un malato o un bandito".