Un tuffo al cuore, aspettando Nazca

Un tuffo al cuore, aspettando Nazca

Proponiamo un estratto delle pagine iniziali di Magie delle Ande di Gabriele Poli, un longseller del nostro catalogo che viene riproposto nella collana La Piccola Biblioteca di Ulisse.

Ho dedicato molto tempo a sognare un viaggio in paesi lontani, un viaggio da solo, alla ventura, quasi alla cieca. Pareva tuttavia che dovesse rimanere un miraggio, qualcosa che s’intravede lì a due passi, che stai per afferrare, ma che sempre, inesorabilmente, si allontana. Invece, come per magia, eccomi qua, in questo gigantesco aereo che piano piano rallenta la sua corsa per planare dolcemente sulla capitale del Perú.

Sono le otto di sera e mi trovo in una stanzetta d’albergo vicino al centro di Lima. La camera è a malapena in grado di ospitare un letto provvisto di lenzuola umidissime, una sedia, una specie di armadio a un’unica anta e nulla più. Le pareti, un tempo probabilmente bianche, sono ricoperte da una tenue pellicola grigiastra di muffa e l’unica finestrella, priva di imposte e di tende, dà su di una via talmente gremita di automobili, autobus sgangherati, motociclette, venditori ambulanti, passanti, mendicanti e ristorantini improvvisati, che non è quasi possibile distinguere il fondo stradale.

Cerco d’ignorare lo squallore che mi circonda e mi metto a letto per recuperare un po’ del sonno perso nel viaggio.

Stamani mi sono alzato alle otto e dopo una colazione a base di Nescafé e biñuelos, specie di cannoncini di pasta fritti nell’olio e serviti con il miele, ho iniziato la mia visita culturale alle meraviglie di Lima. La città, a parte il numero eccezionale di belle ragazze sorridenti, non mi è piaciuta granché. Da Plaza San Martín a Plaza de Armas, dove sorgono il palazzo presidenziale e la cattedrale, è tutto uno schivare mendicanti di ogni età, procacciatori di servizi di qualunque tipo e di “viaggi” a basso costo, tanto che ho subito deciso di abbandonare la capitale per inoltrarmi nelle Ande.

Alla stazione degli autobus ho comperato un biglietto per Nazca; partirò domattina.

La cosa più simpatica mi è accaduta poco fa, proprio vicino alla porta del mio albergo. Stavo ormai risolutamente dirigendomi verso “casa” quando mi sono sentito prendere sottobraccio da due belle ragazze che mi hanno fermato e mi hanno invitato ad assistere con loro a uno spettacolo folcloristico. Ci siamo dati un appuntamento di lì a poco.

Quando le rivedo, Ana e Viviana mi prendono di nuovo affettuosamente sottobraccio e, ridendo e ammiccando, mi trascinano al di là del Rimac in una peña, cioè in un locale tipico in cui si ascolta musica andina e creola, si balla e si conosce un mucchio di gente simpatica. Tra waynos, salsas, cumbias e non so che altro, andiamo avanti fino all’una del mattino.

Assonnato dopo la notte di festa, sono ora seduto al mio posto nel pullman della Ormeño diretto a Nazca. Sono l’unico straniero, il che mi dà una strana, seppur piacevole, sensazione.

Arriviamo in una località chiamata Guadalupe: è la sosta per il pranzo. Il “ristorante” è una baracca con il tetto in lamiera e le pareti che stanno su per grazia ricevuta. I tavoli sono anch’essi fatti di vecchie lastre di metallo appoggiate su treppiedi. Il pavimento in terra battuta è sconnesso e percorso da galline, porcellini d’India e vari altri animali. Per pranzare occorre munirsi di un biglietto, a prezzo modico, che dà diritto al “piatto unico”: oggi si mangia lomo saltado, carne tagliata a pezzi, passata in padella con cipolle e accompagnata da patate fritte e da una montagna di riso senza condimento cotto in tegame.

Finalmente giungiamo a Nazca.

 

Gabriele Poli, Magie delle Ande © EDT 2017, La Piccola Biblioteca di Ulisse