Gourmet? No, una buona forchetta

Gourmet? No, una buona forchetta

In questo estratto de Il cibo secondo Jim, Gaffigan spiega il suo personalissimo e ghiotto approccio a tutto ciò che è commestibile. In libreria dal 26 novembre.

Schermata 2015-10-28 alle 09.51.19Ora che vi siete decisi a leggere questo libro, mettiamo subito in chiaro un paio di cose. Sul cibo la penso in un certo modo e ho le idee ben chiare. Ma non sono un esperto, un gourmet, un foodie. Se mi chiedete il nome di qualche chef famoso, so dirvene al massimo tre. E non ho mai postato una recensione. Ho cinque bambini piccoli e per mantenerli passo le mie serate da solo su un palco a far ridere gli altri: perciò, vado pochissimo a cena fuori. Quello che so del cibo è molto personale e generico: so cosa mi piace mangiare; so cosa non mi piace mangiare; so cosa provo quando mangio. Questa mia ossessione per il cibo potrebbe far pensare, sbagliando, che solo perché sto scrivendo un libro sul cibo io mi ritenga un gourmet sopraffino. Invece non è così. Io mi ritengo una buona forchetta, un’ottima forchetta. E – badate bene! – non ho niente contro i gourmet. Anzi!

Mi piace la passione che ci mettono, invidio quello che sanno e le loro bravate culinarie. Ma personalmente il cibo che mangio da sempre mi ha sempre soddisfatto. Almeno fino a ora. I gourmet danno l’impressione di essere alla continua ricerca di nuovi ristoranti e di piatti originali. Io tutta questa smania di scoprire perché un piatto è buono o di trovare accostamenti esotici non ce l’ho. Non mi sono ancora annoiato. Non è che non apprezzi gli chef di oggi con le loro sperimentazioni e i loro tentativi di allargare gli orizzonti dell’arte culinaria. È che di un taco giapponese o della salsa di mirtilli sulla bistecca non so davvero che farmene. C’è ancora un bel po’ di normalissimo cibo che ho voglia di gustarmi. Mi piacerebbe essere più poliedrico, ma proprio non ce la faccio.
E poi sono tanto, troppo pigro per fare il gourmet. Loro macinano migliaia di chilometri per andare a cercare il piatto perfetto. «A Greenpoint c’è un posto dove fanno i migliori hamburger di New York. Ci vuole solo un’ora di metropolitana e poi quaranta minuti a piedi dalla fermata!». Non sarà certo migliore dell’hamburger che posso andarmi a prendere attraversando semplicemente la strada. E comunque sia, l’hamburger che voglio io deve essere il migliore di New York e contemporaneamente il più vicino a casa.

Sì, è vero: conosco tantissimi posti in ogni angolo del Paese dove si mangia benissimo. Ma non perché mi sia imbarcato in lunghi viaggi per andarmeli a cercare. Mi ci sono trovato quando ero in giro per i miei spettacoli. Se mi capita di fermarmi in una nuova città, mi basta andare su Twitter e chiedere ai gourmet del posto dove si mangia bene. E – bang! – in men che non si dica sto già a ingozzarmi della migliore cucina locale. Pigro sarò pigro, ma l’iniziativa non mi manca. Viaggio molto e mi piace mangiare. E a parte chiedere a chi mi segue su Twitter o direttamente al primo che incontro, non faccio altre ricerche.

In ogni città c’è almeno un posto dove gli abitanti locali raccomandano orgogliosi di andare a mangiare: «Devi assolutamente provare quel posto lì». In ogni città. O quasi. Una volta mi trovavo a Rapid City, in South Dakota, e ho chiesto a un tassista se c’erano ristoranti caratteristici. Quasi fosse la cosa più normale al mondo, mi ha risposto: «No, non ce ne sono. Magari può andare da Outback Steakhouse». Non ce n’erano? Non gli ho creduto. E ho insistito: «Allora dove andavate prima che arrivassero anche qui le catene come Outback Steakhouse?». «Da nessuna parte», è stata la sua risposta. È mai possibile che la gente benestante di Rapid City non andasse a mangiare fuori prima dell’arrivo delle catene di ristoranti? Certo che no! O meglio, spero di no! Cioè, non lo so. Non ho fatto ricerche. Ho poi chiesto anche ad altre due persone e nessuna delle due ha saputo consigliarmi.

Ecco perché in questo libro non troverete riferimenti a una qualche specialità di Rapid City. Non ho nessuna intenzione di stroncare Rapid City, sia chiaro. È solo per farvi capire il mio metodo di ricerca (o la mancanza di un metodo di ricerca). Quindi se il vostro locale preferito nella vostra città non compare in questo libro, i motivi possono essere vari: o nella vostra città non ci sono mai stato; o il perfetto sconosciuto, e vostro concittadino, a cui ho chiesto non me l’ha suggerito; o nessuno me ne ha parlato su Twitter. È anche possibile, però, che sia io troppo stupido e pigro per ricordarmene il nome. In fondo, sono solo una buona forchetta, non un gourmet.

Il cibo secondo Jim, di Jim Gaffigan © EDT 2015

Traduzione di Leonardo Marcello Pignataro