Quella volta con Maradona all'aeroporto

Quella volta con Maradona all'aeroporto

In un libro su Napoli e la pizza può mancare un incontro con Diego Armando Maradona, che per Napoli e i napoletani è ancora e sarà sempre una figura leggendaria? No, certo, e infatti non manca. Ma diamo la parola a Cristiano Cavina, che ripensa alla sua agendina degli autografi e si ritrova dodicenne all'aeroporto, a tu per tu col mito!

 

Nelle pagine dell’agendina ci sono gli autografi di Ottavio Bianchi, l’allenatore, di Renica, allampanato difensore centrale, del giovane centrocampista di talento Fernando De Napoli, dell’ancora più giovane scugnizzo Ciro Ferrara. Nel giorno del mio compleanno feci firmare il portiere Garella, che per me era una leggenda, l’unico portiere al mondo che parava più con i piedi che con le mani, e quello più prezioso, del tenace terzino Bruscolotti, che grazie alla sua figurina l’anno prima ero riuscito a finire per la prima volta l’album Panini.

Maradona era circondato dai viaggiatori e non riuscivo a vederlo. Gli altri calciatori rispettavano più o meno l’idea di loro che mi ero fatto, semidei alti almeno due metri, larghi alle spalle come un furgoncino. Riuscii a intrufolarmi tra la folla ed eccolo lì. Diego Armando Maradona. Avevo dodici anni, e lui era alto poco più di me. Avevamo sulla testa la stessa identica matassa di riccioli neri, ma per fare una coscia delle sue ce ne volevano due delle mie, più l’aggiunta di un braccio. Gli porsi l’agendina con la biro, ma stavano già imbarcando il volo per Napoli; lui non la prese, ma mi posò la mano sulla testa e mi guardò negli occhi. Ero il più piccolo dei presenti, e credo mi dedicò quel momento speciale apposta.

Si aspettava che gli dicessi qualcosa. Io aprii bocca.
«Sei il secondo giocatore più forte del mondo» gli dissi. Doveva convivere già allora, ancora in attività, con i paragoni con Pelé per la corona di Miglior Giocatore di Tutti i Tempi. Lui mi lanciò uno sguardo divertito di rimprovero.

«Non penso proprio!» disse. Anche con quelle poche parole, il suo accento argentino era una meraviglia, aveva una cadenza magica.

Un accompagnatore del Napoli lo prese di peso per un braccio; dovevano partire.

«Giurda!» gli dissi.

Non feci in tempo a spiegargli che prima di lui veniva Giurda Cenni, centrattacco dell’Ac Casola, la squadra del mio paese, che da sempre si dimenava nella giungla feroce della Terza Categoria. Se Maradona era il figlio minore del Padreterno, Giurda Cenni era il Padreterno.

 

Bella Napoli, Cristiano Cavina © EDT 2016