Ella Maillart, viaggiatrice che scrive

Saggi e narrazioni

Ella Maillart, viaggiatrice che scrive

Se non fosse stato per la passione per i viaggi, probabilmente non sarebbe mai esistita una Ella Maillart scrittrice. E sarebbe stato un vero peccato.

 

«Non ho mai viaggiato per scrivere, sono sempre stata costretta a scrivere per viaggiare». Così Ella Maillart, ormai anziana, disse a Stefano Malatesta, che ne riferì nella prefazione a Oasi proibite. Malatesta non ne era del tutto convinto e sospettava che si trattasse almeno in parte di un vezzo, perché è ben difficile scrivere così bene spinti soltanto dal bisogno. Questa fatica, questa scarsa disposizione è rilevata del resto anche dalla biografa Bridget Dolmen, che sostiene che Maillart detestasse addirittura scrivere: era un temperamento sportivo, da grandi spazi aperti, e viveva la scrittura esclusivamente come mezzo necessario per vivere come desiderava.

La scrittrice, dunque, segue la viaggiatrice, il libro viene dopo il viaggio appena concluso e prima di quello che verrà. Il primo libro nacque quasi per caso. Di ritorno dal Caucaso, Maillart incontrò a Parigi l’amico Alain Gerbaud, che la presento all’editore Charles Fasquelle. Si legge in Crociere e carovane

«"Avete intenzione di scrivere sul vostro soggiorno laggiù?", mi domandò l’editore. "Oh, no!", replicai. "Non so scrivere". La mia risposta dovette fargli un’ottima impressione – visto che oggigiorno chiunque prenda in mano una stilografica pensa di saper scrivere – tanto da indurlo a insistere e a tempestarmi di domande».

Durante quella conversazione Maillart accennò a un articolo scritto durante il soggiorno in Unione Sovietica. Fasquelle lo lesse e le chiese di integrarlo con qualche aspetto della vita quotidiana che aveva condotto a Mosca. Il libro che ne uscì venne pubblicato e l’autrice ricevette un compenso di seimila franchi. Era la primavera del 1932. I quindici anni successivi saranno scanditi da viaggi e libri.

Uno dei punti di forza dei libri di viaggio di Ella Maillart sta nel fatto che non si tratta di racconti di imprese o di avventure, ma di resoconti della vita che l’autrice desiderava per sé, senza drammatizzazioni, esotismi o ricerche di effetti: solo buona narrazione.

Durante i propri viaggi in Asia, tra Cina, Unione Sovietica, India, Turkestan, Afghanistan, Ella Maillart ha visitato centinaia di città e villaggi. Dalle grandi capitali ai più remoti campi di pastori nomadi, ha riprodotto immagini vivide, pulsanti, dinamiche, con un occhio molto attento ai particolari e un taglio preciso nel riferirli. In un contesto di grande talento, parecchie pagine dei libri di Maillart ricordano quasi lo stile degli autori contemporanei di guide di viaggio: essenziali, concrete, possono semplificare di molto la vita ai viaggiatori che verranno dopo. Le località, i monumenti, gli scenari vengono descritti con attenzione al dettaglio e agli elementi pratici, concreti, e di tanto in tanto l’autrice fornisce informazioni storiche, politiche, culturali utili per orientarsi nel contesto. Un esempio è Samarcanda, definita «l’incomparabile», cui sono dedicate diverse pagine di Vagabonda nel Turkestan. La madrasa di Tin-la-kari, in persiano “moschea dorata”, viene descritta così:

«In ognuno dei quattro muri del cortile si aprono dieci grandi nicchie ogivali; quella centrale, la più ampia, è un’arcata tutta rivestita di splendidi mosaici variopinti: è l’iwan, la porta tradizionale. L’iwan a sinistra dell’entrata è sormontato da un’immensa cupola che protegge il luogo di preghiera, la moschea chiusa».

E il Mausoleo di Tamerlano:

«Entro da un passaggio secondario. La sala delle tombe è buia, il sole filtra attraverso una piccola finestra traforata formando gemme di luce. Dietro una balaustra di alabastro ecco il sarcofago di Timur: un semplice blocco rettangolare di nefrite verde scuro, una specie di giada rara, fatta arrivare dall’India. Accanto si allineano le tombe dei ministri e di alcuni suoi figli, tra cui quella di Ulug-Beg. A fianco della pietra sepolcrale dello sceicco Seid Bereke si innalza la grossolana asta del buncuk, che indica sempre la tomba di un santo. Sotto il rivestimento di marmo e di alabastro incastonato di diaspro, i muri lasciano intravedere tracce di pittura e di dorature. In una cripta sottostante la sala si trovano le spoglie di Timur, accanto a quelle del suo maestro».

Poi, certo, la scrittrice regala pagine che non si trovano sulle guide:

«Rimango ore sulla mia terrazza solitaria lasciando errare lo sguardo sul mare di tetti piatti che delimitano minuscoli cortili interni. Alberi dal folto fogliame ombreggiano vasche, riserve d’acqua. Il tetto sopra la moschea si gonfia a intervalli regolari in perfetti emisferi che proiettano ombre ovali: morbide rotondità da accarezzare, mappamondi dimezzati su cui giocano i raggi del sole. Ancora oltre vi è una stretta galleria, ai piedi del tamburo che sostiene la cupola».

È la grandezza di Ella Maillart, che scriveva per viaggiare.