I segreti del Bar Einstein

Bambini e ragazzi

I segreti del Bar Einstein

Una storia d'amore sul filo del tempo e dei luoghi, due situazioni complesse e differenti, il passato che rende il presente una sfida contro i ricordi: tutto questo è Bar Einstein, il nuovo romanzo di Giuliana Facchini.

Edo vive in una casa colonica vicino al fiume, in una zona verde alla periferia di una grande città. Trilla, Ester, Giaco e Sunshine sono i suoi “fratelli acquisiti”: frequentano tutti la seconda superiore e abitano insieme alle rispettive famiglie. In città li chiamano la comune per quel modo strano che hanno di impostare la quotidianità: tutto in condivisione, dalla gestione al ricavato.
Quando nella classe di Edo arriva Sasha, una nuova compagna, lui ne è subito attratto; non sono solo gli occhi chiari e i capelli rossi a colpirlo, ma soprattutto il fatto che ogni giorno, uscita da scuola, prenda l’autobus in direzione del quartiere malfamato. Cosa la attira in quella zona? Edo decide di seguirla. Scopre così che Sasha aiuta il gestore di un locale dal nome curioso, il Bar Einstein: è un vecchio ritrovo frequentato da personaggi originali quanto il suo arredamento fatto di mobili recuperati, ritagli di giornale, locandine di vecchi concerti e decine di foto di una donna bellissima.
Sasha ne è infastidita e non vuole proprio saperne di Edo, sembra quasi che cerchi di tenerlo a distanza; ma il ragazzo è testardo ed è disposto persino a rischiare la rissa con i teppisti della zona pur di tornare a cercarla al bar. Una ricerca su internet gli svela la storia del locale: un tempo, quando il quartiere non era così ai margini, era un posto celebre in cui si esibivano musicisti importanti. Il merito era di Dalia, madre di Sasha, affascinante e disinibita, vero catalizzatore di personalità; ma un giorno la donna scelse improvvisamente di togliersi la vita. Da allora Patrick, zio della ragazza, continua a portare avanti controvoglia il bar, ma con l’obiettivo di chiuderlo definitivamente il prima possibile. Una storia tragica che, tra passioni, incomprensioni e chiarimenti, avvicina finalmente Edo e Sasha. Ma i due ragazzi non sanno che c’è qualcosa che ostacola l’amore tra loro; qualcosa che lega misteriosamente la comune vicino fiume e quel locale nei sobborghi in declino…

Bar Einstein è il nuovo romanzo di Giuliana Facchini, vincitrice del Premio Rodari e scrittrice affermata di young adult. Lungo le trecento pagine del libro si intrecciano e si snodano numerose situazioni, ognuna aggrovigliata al sentimento fragile e insieme potente che lega Edo e Sasha.
C’è l’amore, capace di attirare come una calamita, ma anche di respingere se viene sopraffatto dalla paura di un legame. C’è l’avventura: quella vissuta da Edo, costretto a uscire dai luoghi sicuri e affrontare il pericolo, e quella di Sasha, che combatte per tenere la sua vita legata al Bar Einstein nonostante il passato. C’è il giallo, che unisce con un filo nemmeno troppo sottile il locale alla comune con lo scorrere delle pagine ogni nodo si scioglierà, non senza difficoltà. C'è il tema ricorrente del rapporto con la famiglia
Bar Einstein è un romanzo che mescola i generi, con personaggi variopinti come la clientela di un vecchio locale e con una trama scorrevole e decisa come il corso di un fiume.

 

Giuliana Facchini è un’autrice di storie per ragazzi e adolescenti. È nata a Roma, ha vissuto in Lussemburgo e oggi abita in un paese tra Verona e il Lago di Garda. Prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura si è occupata di cinema e teatro ed è da sempre in prima linea per la promozione della lettura. I suoi libri hanno ricevuto svariati riconoscimenti, ultimo tra i quali il Premio Rodari 2022, per il romanzo Borders (Sinnos 2022).

Un estratto

Sasha esce dalla sua classe con passo veloce ma senza dare l’idea di avere fretta. Scivola tra gli studenti nel corridoio, fa lo slalom per le scale e quando arriva in strada rivolge per un attimo lo sguardo al sole. Socchiude gli occhi per bearsi del caldo quasi estivo che le illumina il viso. Quindi si tira su il cappuccio e fruga nello zaino in cerca degli occhiali. Riprende a camminare verso la fermata dell’autobus. Una frangia lunga e i capelli folti e rossi le ricadono sul viso e poi sulle spalle. Si sente a proprio agio nascosta dentro il cappuccio, dietro gli occhiali da sole a specchio e la frangia. Gli occhi azzurri dalle ciglia chiare osservano luoghi e persone con distacco e la bocca dalla linea sottile rimane chiusa quando le parole sono inutili.
Lei è così. La si potrebbe definire una persona riservata, ma di una riservatezza che non è una naturale predisposizione, piuttosto un atto di difesa. Attraversa la strada spedita e appena arriva l’autobus si accoda ai ragazzi che salgono. Trova uno spazio accanto al finestrino e tira fuori il cellulare per inviare un messaggio a Sabine: non vuole
che si preoccupi. Molti scendono alla stazione e il veicolo si svuota quasi completamente, ma Sasha deve aspettare ancora una decina di minuti perché si liberino dei posti a sedere.
La corsa è lunga fino alla lontana periferia ovest della città. Oltre i viali alberati e il quartiere universitario si arriva a un’ampia strada fiancheggiata da casermoni popolari. A bordo sono rimasti un gruppo di ragazzi coperti di tatuaggi, con giubbetti e occhiali scuri; due donne nere con le borse della spesa e Sasha. L’autobus imbocca un sottopassaggio lungo poche decine di metri, coperto di graffiti. A lei pare di sentire l’odore di piscio e di muffa, conosce a memoria un sacco di scritte che coprono le pareti: vede con l’immaginazione un grosso TÒ SEMPRE AMATA che la fa sorridere ogni volta.
Si passa il tunnel e si arriva nell’oscura periferia ovest della città. In quel quartiere dove ha vissuto la sua intera vita.
Si alza e scende alla penultima fermata prima del capolinea, insieme ai ragazzi con i giubbetti neri. Anche le pensiline e le panchine del capolinea sono coperte di scritte così come i muri e le saracinesche. La via è piena di negozi, alcuni aperti, altri chiusi per la pausa di mezzogiorno o per sempre. C’è di tutto: empori gestiti dai cinesi, fruttivendoli indiani, un negozio di stoffe enorme, fornitissimo, conosciuto da chiunque in città. Un tempo era una fabbrica appartenente a una piccola società che fallì alla fine degli anni Ottanta. Poi c’è il salone di parrucchiera dove lavora la sua amica d’infanzia, Anita. La titolare è in società con un ragazzo africano che fa pettinature rasta e treccine. Era una grande amica di sua madre. Si è presa un socio per far concorrenza al coiffeur cinese due vie dopo, le ha spiegato Anita.
Sasha svolta in un vicolo e arriva in una piazzetta con un piccolo parcheggio al centro e di lato un negozio che vende apparecchi fotografici usati. Attraversa e, all’angolo con una via stretta, c’è una porta di legno gialla con sopra una scritta luminosa: Bar Einstein. A sinistra e a destra del- la porta sono allineati dei piccoli tavolini con due sedie di ferro ciascuno. Uno solo è occupato.
Sasha prende la via stretta e volta subito in un vicolo per entrare nel bar dal retro. La porta di ferro è socchiusa, come sempre. Negli ultimi tempi lei e sua madre la chiudevano, ma adesso evidentemente Patrick pensa che non sia necessario.
La stanzetta scura che l’accoglie è piena di casse di birra vuote e scatoloni. Una scala a chiocciola porta di sopra, nel trilocale dove Sasha e la madre hanno sempre vissuto. Lei però s’infila dietro al bar, dove c’è un tavolino incassato tra due scaffali. Appoggia lo zaino: ha sempre studiato e fatto i compiti in quel posto. È la sua tana.