Il futuro del mare

Saggi e narrazioni

Il futuro del mare

Oceani e inquinamento: l’imperativo è invertire la rotta.

 

«Il mare ha bisogno di aiuto». Nel titolo del capitolo VII di Oceano profondo sta la drammatica sintesi delle condizioni dell’ambiente marino. Che si tratti di un’invocazione quanto mai urgente e seria lo confermano i dati attuali e le proiezioni future.

La presenza e le attività dell’uomo esercitano sui mari pressioni non più sostenibili. La pesca, il trasporto marittimo, il turismo, l’estrazione di combustibili e fonti di energia (settore che Bill Streever conosce molto bene, dal momento che ha lavorato a lungo come subacqueo sulle piattaforme petrolifere) compromettono gli equilibri dell’ambiente marino e producono quantità inimmaginabili di rifiuti: metallo, cartone e soprattutto plastica.

Ogni anno, tra cinque e dodici milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare. Gli oceani del mondo sono infestati da oltre 150 milioni di tonnellate, per metà composte da plastiche monouso, non riutilizzabili. Stime credibili attestano che nel 2050 il mare potrebbe ospitare più plastica che pesci. E se si parla di rifiuti in generale i numeri sono ancora più spaventosi: 730 tonnellate di rifiuti vengono riversate ogni giorno nel solo Mare Mediterraneo. I grandi mari regionali d’Europa hanno problemi di contaminazione su larga scala, in particolare il Baltico e il Mar Nero, inquinati per oltre il 90% della loro estensione.

Molte delle interviste riportate da Streever nel libro affrontano il tema della protezione dell’ambiente marino. A concentrarsi sull’argomento è in particolare l’oceanografa Sylvia Earle, che «si occupava di questi temi ben prima che la plastica invadesse le spiagge e formasse delle isole galleggianti in mezzo agli oceani. E anche prima che i mari venissero “disboscati”, per usare le sue parole, dall’industria del pesce».

Dalla conversazione con Earle e con altri personaggi legati al mare Streever trae elementi utili a fare il punto sulla situazione dei mari. Lasciamo che sia lui a parlare.

«In questo momento storico, e dato che siamo esseri razionali, è impossibile trascorrere del tempo in mare senza vederne il degrado e senza inorridire. Gli ecosistemi sottomarini hanno riportato gravi ferite che in certi casi si sono rivelate mortali. Porre un freno all’aggressione degli uomini è quindi una priorità non differibile».

«E per aggressione intendo lo scarico in mare di megatoni di liquami inquinanti, pesticidi e fertilizzanti, sedimenti e plastica. Intendo farmaci che abbandonano l’organismo di chi li assume attraverso le urine, non vengono intercettati dagli impianti di depurazione e finiscono nei fiumi, che a loro volta sfociano nei mari. Intendo acque riscaldate da centrali elettriche e raffinerie. Intendo sversamento di petrolio, in piccole o grandi quantità, provocato da naufragi ed esplosioni di pozzi, ma anche dalle perdite delle sentine e dei motori fuoribordo delle imbarcazioni da diporto. Intendo le navi incagliate, le chiatte e persino le barche a vela che finiscono sugli scogli. Intendo il riscaldamento climatico e gli alti livelli di anidride carbonica che modificano il PH dell’acqua. Intendo le flotte di pescherecci che intenzionalmente, e con successo, catturano le specie bersaglio e nel contempo, senza volerlo ma con pari successo, trangugiano qualsiasi organismo si trovi nei paraggi che viene restituito al mare agonizzante o morto – la cosiddetta cattura accessoria».

E l’elenco va avanti nel libro, una sequenza di dissesti ambientali coordinati per anafora da quegli “intendo” inesorabili.

Che cosa ci sarebbe da fare è chiaro più o meno a tutti. Governi e istituzioni sono molto rigorosi, a parole, sull’imperativo di tutelare gli oceani, ma dalla teoria alla prassi il salto è molto netto e troppo spesso le norme che dovrebbero tutelare l’ambiente marino rimangono lettera morta. Verrebbe quasi da pensare che esista una strategia globale volta alla distruzione dei mari. Al contrario, osserva Streever: una strategia consapevole e scoperta non potrebbe mai essere tanto efficace. E ritorna poi alle parole di Sylvia Earle, quelle da cui siamo partiti: «Abbiamo bisogno del mare, e adesso il mare ha bisogno di noi».