Intervista a Mussapi

Intervista a Mussapi

Da Omero a Dante, passando per la poesia elisabettiana di Marlowe per arrivare ai versi del nostro Luzi o di Walcott. Roberto Mussapi, quali tratti accomunano i protagonisti dell’entusiasmante percorso poetico compreso in "Poesie di viaggio?"

Innanzitutto l’esperienza quintessenziale del viaggio che è adombrata quando non rappresentata nella poesia stessa: un’uscita di sé e da sé, dal proprio spazio interiore, un viaggio periglioso che genera conoscenza e trasformazione, e quindi un ritorno.

L’archetipo di Ulisse, nella sua complessità di movimento, è insito in ogni opera poetica, anche quando non esplicitamente. È evidente che per la raccolta di Poesie di viaggio ho scelto poesie in cui questa esperienza fosse esplicita e manifesta.

Nelle sue articolazioni: il viaggio orizzontale, sulla terra, quello verso il cielo, da Icaro a Shelley, il viaggio per mare, forse il primo in termini storici, da Ulisse a Melville e Stevenson, il viaggio ascensionale, la spinta verso il cielo, anima non solo dei voli di Shelley e Coleridge (in Coleridge però il viaggio è totale, assoluto), ma anche di molta poesia lirica.

Quali criteri vi hanno guidato nella scelta delle liriche?

Il primo criterio è appunto tematico, ovvero la presenza del viaggio come esperienza cardine della poesia. Nelle sue diramazioni, dal campo fisico-geografico a quello metafisico, che non è il contrario del primo perché lo comprende. Poi la qualità degli autori e la ricchezza delle visioni e delle storie.

Un altro criterio è la resa stilistica, che per me non è un optional ma un elemento fondamentale: per questo ho tradotto io tutti i poeti che mi era possibile tradurre (quelli cioè scriventi nelle lingue che conosco, inglese, francese, spagnolo, greco antico e latino), perché un’antologia poetica per me deve essere sinfonica, non dodecafonica.

"Poesie di viaggio" è un unicum nel panorama editoriale del nostro paese, dove invece abbondano le raccolte di poesie d’amore. Un “ritardo” singolare, se si pensa ai tratti comuni tra l’atto poetico e il viaggiare. Come lo si può spiegare?

La spiegazione è nella tradizione poetica dominante in Italia, il modello petrarchesco. La poesia italiana non segue l’esperienza di Dante, la poesia come avventura, viaggio, partenza nel buio, esperienza del magma. Segue il modello petrarchesco dove il viaggio, quando appare, è spiritualizzato: della stessa sostanza dei capelli di Laura, sempre d’oro, e dei suoi occhi inesorabilmente vaghi.

Io già molto prima dei trent’anni compresi che la mia strada era un’altra, di origine dantesca, che nel mio tempo e nella mia lingua mi indicava l’opera di Mario Luzi: da Tasso al Foscolo dei Sepolcri a Campana e poi Luzi si individua la linea avventurosa della poesia italiana. Non è un caso che sia io a curare questa antologia e che molti autori presenti siano quelli della strada che imboccai, e che non è italiana: da Coleridge in poi, ma anche indietro, Ovidio, Virgilio, la tradizione epica… E poi la linea dantesca ha trovato grandi poeti nel Novecento, miei maestri, come Eliot e Pound.

In Italia prevale l’idillio, lo scenario è la campagna o il quartiere. Spesso con esiti eccellenti. Ma il nostro genio di navigatori si compì ed estinse con Cristoforo Colombo. Mentre in Inghilterra i poeti hanno sempre dialogato con i navigatori.

Come lei osserva nella Prefazione, nella poesia di tutti i tempi non è difficile trovare liriche intonate al lamento. Che tono prevale nei versi di viaggio? La tensione della ricerca metafisica, come nell’Ulisse di Dante, o il piacere dell’andare?

Tendenzialmente, almeno sfogliando questo mio lavoro, mi pare e mi auguro che prevalgano il senso dell’avventura e l’ebbrezza dell’andare. Che insomma il rovello metafisico e il piacere del movimento, il fuoco e la brezza marina si compenetrino.

A cura di Paolo Giuseppe Alessio