Lettura: L'ultimo gigante dell'Eden

Lettura: L'ultimo gigante dell'Eden

In principio, milioni di anni fa, il Signore Iddio creò un giardino nel nord, l’Eden. C’erano molto sole, sequoie ed elettricità, e tutte le condizioni biologiche erano assai favorevoli.

William Fairfield Warren, a dir la verità, non sembrava destinato a scoprire la collocazione geografica del Giardino dell’Eden. Non era un esploratore. Ritto in piedi, quando ci stava, era alto solo un metro e sessantasette. Nel suo ruolo di primo rettore della Boston University trascorreva buona parte del tempo seduto dietro a una scrivania a parlare ai docenti, agli studenti e agli amministratori con voce bassa e roca. Sebbene all’epoca della nomina avesse solo quarant’anni, sembrava decisamente più anziano per via del volto pallido e occhialuto, incorniciato dai capelli grigi sempre più radi e da una barba ben spuntata. Avendo fama di diplomatico, insisteva sulla perfetta cortesia e amicizia tra docenti e studenti e mantenne la carica per trent’anni.

William Warren, tuttavia, era anche un colto pastore metodista, e per tutti gli anni in cui fu rettore continuò a insegnare alla facoltà di Teologia. In aula, dietro al podio, sembrava che crescesse. La voce, di solito trattenuta, si faceva più alta e sonora, la fronte prominente iniziava ad avvampare. Giocava dei tiri mancini: amava comporre e recitare falsi dialoghi socratici e declamare lunghi passi tratti da Emerson. E invece di far la parte del cortese diplomatico, Warren si trasformava in un difensore della fede.

Dopo il 1859, d’altronde, quando il furore post-darwiniano sulle origini dell’uomo era in pieno fulgore, la fede aveva ben bisogno di essere difesa. L’evoluzione ipotizzava che l’uomo nel corso del tempo fosse asceso a partire dalle origini di primate meno intelligente e più animalesco, mentre il cristianesimo insisteva da millenni che l’uomo, a causa del peccato originale, fosse disceso dall’altezza quasi divina del Giardino dell’Eden alla società infelice e corrotta del tardo XIX secolo.

Nel 1872, un filosofo tedesco sin troppo appassionato annunciò che l’uomo era un animale, e che non differiva in niente da una scimmia; i pensieri umani erano semplici emanazioni del cervello, “come bile dal fegato”. Questo attacco a sorpresa diede a Warren argomenti contro l’eresia evoluzionista, e la sua lezione intitolata L’ispirazione delle Scritture gli offrì l’opportunità di partire all’assalto.

Esordì con un ultimatum. Se c’era qualcuno tra il pubblico che riteneva di essere un animale, dichiarò, “sarà assai conveniente posticipare qualsiasi discussione con costui al momento in cui diventerà un uomo. I pazzi, come sappiamo, non vanno mai contraddetti”. L’uomo è un essere spirituale, affermò Warren, creato da Dio. E Dio non si è ritirato subito dopo la creazione, esausto, per “sprofondare in un eterno deliquio”. E neppure “si è rinchiuso nel salotto celeste dell’universo”. No, il Creatore era ancora in giro, e si teneva occupato. “Affermo che, come l’aria circonda, simile a una sfera, tutti gli alberi, Dio circonda tutte le anime”.

La fede di Warren non vacillò mai, ma la sua posizione lo aveva intrappolato. Da uomo del proprio tempo, da rettore di un’importante università, sapeva che la scienza era in marcia, ma la sua teologia metodista, come quella della maggior parte delle confessioni cristiane, esigeva che gli uomini fossero dei peccatori, sempre volti all’indietro verso un passato edenico, perfetto. Come poteva sostenere entrambi i punti di vista?