Rime contro: la slam poetry che salva

Dalla periferia abbandonata a se stessa non può uscire nulla di buono, ed è qui che Connor perde il suo migliore amico in una rissa tra gang. Ora è il momento di vendicarsi… o forse esiste un'altra strada?
Da Coatbridge, sobborghi di Glasgow, non può venire nulla di buono: condomini fatiscenti, degrado, abbandono, delinquenza. Lo sa bene Connor, diciotto anni vissuti sulla strada, mentre assiste al funerale del suo caro amico Biscuit: un agguato della gang rivale guidata da Yobboy lo ha visto soccombere, e ora lui, Trig, Nails e Wee Z piangono il proprio leader tra rabbia e disillusione. Non solo: sui social girano video di scherno che non si possono ignorare; urge una vendetta, per onorare la memoria di Biscuit e rimettere a posto le gerarchie tra gang.
Orfano della madre e con il padre concentrato sulle sue gare di culturismo, Connor si trova a un bivio cruciale: scrivere un dissing spietato che tenga acceso il fuoco dell’odio, o fare qualcosa di diverso interrompendo la spirale di violenza. Combattuto tra la rabbia e il dolore, con gli amici affamati di rivalsa e una voce interiore che lo spinge a riflettere, Connor scopre per caso che c’è chi riesce a incanalare le proprie frustrazioni, i sogni e la rabbia nella slam poetry, poesia performativa che colpisce più forte di qualsiasi pugno. Potrebbe essere quella la sua strada? Forse; ma è difficile accettarlo, quando fai parte di una gang e il tuo mondo non offre nulla di buono…
Brian Conaghan, affermato scrittore scozzese di cui Giralangolo ha già pubblicato Sotto un cielo di cartone, torna con un romanzo diretto, candidato alla Carnegie Medal proprio per la sincerità tagliente con cui racconta le periferie e il loro clima.
I drammi, le difficoltà, le paure e la rabbia con cui Connor si confronta quotidianamente hanno un nemico molto preciso: il contesto in cui cresce. È quello, il “villain” di Rime contro, tutti vengono costantemente colpiti duro dalla vita, tanto i ragazzi quanto gli adulti. Nails convive con un padre violento, Wee Z deve pacificarsi con le sue origini pakistane, Trig è cresciuto in una famiglia rissosa. E la città, Coatbridge come paradigma di tutte le periferie, non offre redenzione. Non c’è svago, non c’è bellezza, non c’è possibilità di aggregazione che non sia votata alla legge del più forte e della strada.
Il bisogno di qualcosa di meglio e la paura di raggiungerlo davvero si compiono ad ogni pagina del romanzo; lo leggiamo dai pensieri di Connor, che scivolano ora nello sconforto, ora nella speranza. Per il protagonista, riscattarsi e farlo attraverso la poesia – qualcosa di improbabile e mal vista, nel suo contesto sociale – è una sfida persino più difficile del conservare una corazza da duro ad ogni costo. Ma è una sfida che si può vincere.
Rime contro è un romanzo che offre uno sguardo lucido sul disagio, ne riconosce i meccanismi che lo alimentano e la fatica necessaria per uscirne. E lo fa attraverso squarci di speranza: esprimere la propria rabbia attraverso l’arte e la poesia è una meravigliosa forma di salvezza.
Brian Conaghan è nato a Coatbridge, in Scozia, e ha studiato Scrittura Creativa all’Università di Glasgow. Dopo anni ad insegnare inglese in Scozia, Irlanda e Italia, ora si dedica a tempo pieno alla scrittura. I suoi romanzi per ragazzi hanno vinto numerosi premi, tra cui il Costa Children’s Book Award e l’Irish Book Award. Rime contro è stato selezionato tra i finalisti per la Carnegie medal 2025. Dello stesso autore, Giralangolo ha pubblicato nel 2024 Sotto un cielo di cartone.
Faccio una smorfia. Poetry? Ripeto. Po-e-sia? Mi state dicendo che tutto ‘sto bordello è per della poesia? Santo cielo,
il mondo è proprio allo sbando. Quando andavo a scuola io era l’esatto opposto, bastava che la nostra insegnante di inglese pronunciasse la parola poesia che tutta la classe sbuffava da rimetterci un polmone. A me non fregava granché, era roba senza senso e pure pallosa, ma certe volte nemmeno così malvagia. C’è di peggio, insomma. Okay, facciamo un grande applauso per la nostra prima finalista. E giù scrosci. Dai bassifondi di Barlanark, ecco a voi PaulaTik. Barlanark? Non è così distante da qui.
La tipa scende dal palco e lascia il posto a un’altra tipa. Questa ha di sicuro la mia età. Capelli tirati indietro in una coda di cavallo, tuta nera e scarpe da ginnastica bianche. Puma. Roba buona.
Si aggiusta il microfono, abbassa la testa, la rialza di colpo con uno sguardo di pura concentrazione – mista a rabbia – in viso. Notevole. Una come lei non si sognerebbe mai di guardare uno come me.
Come butta? dice, la grinta nella voce. Il mio nome è PaulaTik. Wee Z saprebbe dire se è indiana o pakistana a colpo d’occhio. Per me è troppo difficile, ma in ogni caso sicuro che è scozzese, basta sentire come parla. Scrivo poesie sulla politica e su altre cose che davvero mi fanno incazzare.
Ridacchio. La folla esulta. Bisogna essere pazzi per andare su di giri per questa roba. Ho gli occhi incollati allo schermo. Questa poesia è un po’ tutte e due le cose. Si chiama “Non sono razzista”. PaulaTik parla come la gente di qui. Come me. Come la truppa. Come se fosse una di noi. Poi si porta
una mano al fianco; con l’altra fa finta di fumarsi una siga. Dovessi incrociarla per strada penserei che è a caccia di risse. Mi fa pensare a Nails, ma senza paglia. Una ragazza tosta vestita Puma. Sento il cuore accelerare i battiti, sono un po’ nervoso per lei. C’è un momento di pausa prima del lancio.
Senti, non sono razzista ma...
Hai visto come occupano il posto
sul bus
con i loro passeggini
senza fare il biglietto.
Fanno finta di niente quando conviene, poi esortano i figli a pregare.
Non gli importa nulla dell’integrazione e nemmeno
dell’assimilazione.
Li hai visti? [...]
Sul serio, non sono razzista, ma...
Hai visto come fanno, no? Si prendono le nostre case
per darle alle schiere di fratelli, sorelle
e spose.
Si riproducono nel nostro Paese,
e per i nuovi nati di pelle sporca cittadinanza automatica alla porta.
Li hai visti?
Giuro, non sono razzista, ma... Hai visto quelli fuori dai negozi,
i figli in braccio? Non ingannano nessuno:
di soldi ne hanno un sacco.
E poi si lamentano che sono sotto attacco?
Insomma,
potrebbero pure farlo lo sforzo d’imparare la nostra lingua, non stanno mica a casa loro
e poi ci rubano il lavoro.
Li hai visti?
Non vorrei dirlo ad alta voce, ma Perché accoglierli a braccia aperte bocche sorridenti
strette di mano
“ben arrivato”
se poi a questi per campare gli tocca elemosinare?
Però no, non sono io che... no,
non sono io...
Non sono io da biasimare
Se gli altri non vogliono guardare.
È loro, solo loro la colpa,
sono loro da additare.
Ah... ‘fanculo!
Alla fine sono solo parole a vuoto, nessuno ha le palle di rispedirli indietro a nuoto a...
da dove vengono questi qua?
E la cosa, lasciate che vi dica,
la trovo semplicemente mi-ti-ca, perché io sono qui, Paula Tik, migrante, esiliata.
Sono come tutti loro
Nazionalità a parte
Figli a carico e accento pesante. Comunque,
non sono una minaccia per nessuno sono stata accolta
parlo la lingua del posto:
chi sei tu per dirmi che non posso?
Sì, lo so, continui a dire che non sei razzista, ma...
Mi hai vista?