Charlie, in volo attraverso l'America

Bambini e ragazzi

Charlie, in volo attraverso l'America

Mentre camminavamo, papà si era fermato per dirmi ancora una cosa. «A te piace fare delle liste, giusto Charlie? Bene, senti che idea mi è venuta: perché non facciamo una lista insieme? Scriviamo i nomi di tutti gli uccelli che prima o poi vorremmo vedere nel loro ambiente naturale. Ti piacerebbe?»

 

La vita quotidiana di Charlie è complicata: sporcizia e disordine sono ovunque, per lui che che ha un disturbo ossessivo-compulsivo da controllare allineando, pulendo, semplificando, lavando le mani a cicli di dodici volte come i suoi anni. Fortunatamente determinazione e un certo limpido sarcasmo non gli mancano, e una solida routine gli viene spesso in aiuto. E poi, Charlie ha una passione trasmessa dal padre: il birding, l'avvistamento degli uccelli nel loro habitat; hanno compilato una lista di specie che vorrebbero avvistare insieme, da quelle più comuni ad animali di altri continenti, persino uccelli estinti!
Quando il padre viene gravemente ferito in Afghanistan, però, i problemi si fanno ancora più grandi: dalla California, dove tutti vivono, dev'essere spostato in un ospedale neurologico della Virginia. La tenace nonna che si prende cura di tutta la famiglia lo accompagna e affida Charlie, la sorella adolescente e i gemelli a Ludmila, una punk taciturna ed eccentrica originaria della Bosnia.
Una notte, i ragazzi decidono di fuggire di casa per andare dal padre: partono in macchina per la Virginia con il fidanzato della sorella, ma a Las Vegas un incidente compromette il viaggio e l'amore tra i due ragazzi. È Ludmila ad andare a prenderli con la sua piccola automobile, presto sostituita da un malconcio camper in cui tutti si sistemano. A bordo di quel mezzo ammuffito e puzzolente, Charlie affronta un'Odissea attraverso l'America con due grandi obiettivi: resistere alla situazione ben poco confortevole e avvistare tutti gli uccelli della sua lista, nella speranza che sia di buon auspicio per il padre. Inoltre ha un sogno nel cassetto: incontrare Tiberius Shaw, il più grande ornitologo della storia, di cui Charlie possiede il diario personale…

Charlie e il misterioso Professor Tiberius, esordio letterario di Sally J. Pla, è un appassionante e positivo romanzo on the road, con una trama costruita con precisione e dai numerosi personaggi, molto diversi tra loro e per questo complementari. 
Charlie, con le sue manie a scandirne la quotidianità e la sua incapacità a interpretare le emozioni altrui, conduce durante il viaggio una doppia faticosa battaglia: resistere e farsi accettare. Ai suoi occhi ogni situazione contiene una minaccia, ma Charlie non è il tipo che sta a guardare. Alla paura per il viaggio, poco alla volta si sostituiscono piccoli entusiasmi, obiettivi da raggiungere, voglia di rischiare; ci sono uccelli da avvistare, luoghi da visitare ad ogni costo, persino dimostrazioni da dare alla sua famiglia: ci vogliono centinaia di chilometri di camper, ma alla fine Charlie riuscirà non solo a lavorare alla sua lista di uccelli, ma anche a farsi accettare.
Il ragazzo, con il suo essere difficile e spesso respingente, è un catalizzatore di bontà: chiunque gli stia intorno tira fuori il meglio di sé. Se tutto va come deve andare, lungo il viaggio, è per molti versi merito di questo dodicenne ansioso, sardonico e cocciuto: nessuno se lo sarebbe aspettato, men che meno lui; eppure anche l'uccello più imprevedibile è capace di spiccare il volo.

Un estratto

Dietro al bancone del negozio di souvenir oggi c’è Ellie. Mi piace. Non fa mai storie per mostrarmi le sculture. Dice: «Fai con calma, Charlie. Vuoi che te le avvicini un po’?».
Non ho neanche bisogno di rispondere; lei ormai lo sa. Le prende una per una e le dispone in fila sul bancone.
Ellie mi ha detto che il leggendario ornitologo, artista e filosofo prof. Tiberius Shaw un tempo era molto più famoso di oggi. «Molti non sanno chi sia, ma qualche anno fa era una leggenda vivente. Scriveva libri del tipo che oggi si chiama “di auto-aiuto”, in cui spiegava quante cose possono insegnarci gli uccelli a proposito delle persone e della vita in generale. Era una specie di guru fra gli scienziati; andava in tutti i talk show».
Un giorno mi comprerò tutti i suoi libri.
Vorrei potermi trattenere qui nel negozio di souvenir e disegnare tutte le statuine degli uccelli. Preferirei fare questo, piuttosto che salire da papà. Voglio bene a papà, ma quella stanza d’ospedale mi fa venire la smania nelle gambe e mi smuove lo stomaco come il cestello di una lavatrice.
Invece guardare gli uccelli è una cosa che trasmette pace e un senso di ordine. Gli uccelli sono belli. I fatti essenziali che li riguardano non cambiano. Il comportamento degli uccelli è piuttosto coerente. Puoi scriverlo, conoscerlo, capirlo. Per quanto ci si sforzi, invece, fare la stessa cosa con gli umani è impossibile.
Un giorno, quando incontrerò il leggendario ornitologo, artista e filosofo prof. Tiberius Shaw, gli chiederò che cosa intendeva, quando diceva che gli uccelli possono insegnarci delle cose a proposito delle persone.
Ellie è di servizio al bancone del negozio il lunedì, mercoledì e venerdì. È alta più o meno un metro e ottanta e larga circa un metro e venti; il suo vestito blu è grande come una tenda da campeggio. Ha una testa di riccioli neri scompigliati, la pelle scura e grandi orecchini con pendagli che ondeggiano avanti e indietro mentre parla con la nonna. Parlano parecchio, a bassa voce, pensando che non sentiamo, ma invece sentiamo. E come sempre, parlano di una cosa soltanto: Ludmila.
Ellie bisbiglia alla nonna: «Non lo so, francamente, ma se dovessi dire come la penso, ecco, mi sa che Ludmila abbia qualche problemino. Che diavolo ci fa in quella stanza tutto il tempo? Sta lì e lo fissa, come un avvoltoio. Che cosa sta aspettando?».
La nonna spalanca gli occhi e fissa Ellie. «Ma, Ellie, Ludmila non è affatto così! Lo tiene d’occhio come un falco, piuttosto. L’altra notte ha fermato uno dei nuovi inservienti che stava per somministrargli un farmaco sbagliato!»
Ellie annuisce. I suoi orecchini oscillano come pendoli di orologi a cucù. «Mmh, be’…» dice, incrociando le braccia sopra il largo petto. «Accidenti, è una situazione complicata. Ma cosa c’entra lei, dopo tutto? Perché un bel giorno, dal nulla, è comparsa nella stanza? È una cosa strana, secondo me».
La nonna si stringe nelle spalle. «Sì, è strano. Ma non intendo ficcare il naso. C’è qualcosa sotto, puoi scommetterci. Ogni cosa verrà fuori a tempo debito».
La nonna compra delle barrette di cioccolato per Joel e Jake. Io dico arrivederci alle statuine degli uccelli, e a quel punto procediamo spediti. Prendiamo l’ascensore per raggiungere la camera di papà. L’hanno messo con i pazienti stabili, al sesto piano dell’ospedale.
Le porte dell’ascensore si aprono e bum, chi ci vediamo davanti? Ludmila in persona, che aspetta di scendere. Tutti sobbalziamo, colti di sorpresa. Oggi indossa una parrucca blu, di un blu elettrico, con una frangia liscia che le ricade sugli spessi occhiali neri. So che i suoi capelli normali sotto la parrucca sono di un rosa acceso. Ludmila fa un cenno alla nonna, e con il suo accento caratteristico e vagamente russo, dice: «Stamattina non ha voluto niente. Nemmeno caffè con molto zucchero».
«Be’, di sicuro cominci a conoscerlo bene», dice la nonna.
Nessun altro di noi apre bocca. Guardiamo tutti quanti a terra.
«Allora», fa Ludmila, annuendo. «Bene. Io torno un poco più tardi».
Davis starnutisce, si mette a braccia conserte e guarda da un’altra parte. Quando la nonna non è a portata di orecchio, Davis la chiama «Ludmilla, l’intrusa gorilla».
«Grazie», risponde la nonna, con la stessa vocina che usa per parlare con Aiden, il bambino di tre anni figlio dei vicini di casa. «Apprezziamo molto il tuo aiuto». Ludmila sale in ascensore.