I Cento di Torino e Piemonte: prefazione di Marco Ponti

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I Cento di Torino e Piemonte: prefazione di Marco Ponti

Perché il cibo valga la pena di essere mangiato non deve essere soltanto buono, ma anche portare con sé accoglienza e convivialità. Con questo spirito il regista piemontese Marco Ponti ci accompagna alla lettura della nuova edizione de I Cento di Torino e Piemonte.

 

Cento (e cinquanta) posti in onor del buonumore

di Marco Ponti

Andiamo a cena fuori. 

Già questa frase mi mette buonumore.

Buonumore regalato, se mi viene detta. Buonumore deciso, se la dico io. 

Ma buonumore vero.

Di questi tempi ormai solo pochi dinosauri osano ancora parlare di locali alla moda, o di posti dove si “deve” andare. Quello che conta sono i posti che mantengono quella promessa di buonumore nata nel momento in cui si è scelto che questa sera non si cucina, né si sparecchia, né si lavano i piatti. 

Le mille occasioni della vita chiamano posti diversi, piatti diversi, luoghi diversi, gusti e ricordi di gusti diversi. Un pranzo dove si parla di lavoro. Dove si parla d'amore. Dove si pianifica il futuro. Dove ci si racconta il passato. Dove si cuciono le ferite. Dove nascono le amicizie. Dove ci sono le cameriere più belle. Dove si va da soli, con un libro.

Schermata 2013-10-22 a 15.09.42Schermata 2013-10-22 a 15.11.29Quanti posti diversi! E per ognuna di queste emozioni, in quanti modi si può far brillare la propria fantasia! Non bastano questi cento, quasi! E dunque cerco di non dimenticare mai che andare a mangiare fuori non può essere solo togliermi la fame, ma coltivare una (piccola, grande) emozione. Per dire, ho vissuto sette anni a Los Angeles e non sono andato mai, mai, in un fast food.

Perché? Perché lì la vera emozione, se vuoi hamburger e patatine, è andare in un diner vecchio stile, di quelli che non cambiano il menu da sessant'anni e ti servono la Coca-Cola mescolando lo sciroppo originale con la soda (se capitate da quelle parti, il posto che fa per voi è Pie ’n Burger, al 913 East di California Boulevard, a Pasadena).

Per dire, ogni volta che torno a Torino il primo posto dove vado a mangiare è un ristorante tedesco gestito dalle due adorabili signore Franzen e Schumacher (non sapevo che esistesse una cucina tedesca: esiste, e quando è buona è buonissima). 

Per dire, una volta all'anno metto a budget una visita al Maestro Scabin, e qui mi conforta che il mio numero uno sia anche il numero uno dei nostri coraggiosissimi esploratori dei ristoranti locali (provare una volta nella vita il suo filetto di fassone impanato, roba da riflessi pavloviani anche dopo mesi).

Per dire, quando passo a trovare in studio il mio amico pittore Daniele Galliano non possiamo fare a meno di pranzare in una trattoria, la Trattoria Primavera in via Perugia (che trovate a pagina 115). Ordino sempre la minestrina. Quella classica, tipo stelline, quella lì. Non ho il coraggio di chiedere le letterine dell'alfabeto ma prima o poi ce la farò.

La minestrina. Basta per finire su una guida? Per dare conforto e felicità direi però proprio di sì (se non passo in studio e ci vediamo vicino a casa sua invece andiamo al Pastis, di santamaradoniana memoria, e gestito da amici veri). 

Per dire, stando a Roma, provo la meravigliosa sensazione di avere un ristorante che quando fa bello (sempre) mette i tavoli fuori e ne mette uno davanti al mio portone di casa. Ho controllato: non è “a due passi da casa”: è a un passo solo, e pure breve (vero, c'è sempre una milionata di turisti, ma abitare in centro a Roma e lamentarsi della troppa gente è come andare al Gran Prix di Monte Carlo e lamentarsi del rumore).

Insomma, fermo restando che il miglior ristorante al mondo è sempre quello della propria mamma (eh, le tue acciughe al verde, le uova ripiene, i peperoni con le acciughe...), o quello a casa di amici cari (Molli, il tuo “pollo in quella pentoletta là” ho provato a copiartelo ma è inimitabile), è bello che quasi ovunque ci sia una trattoria, un ristorante, una pizzeria, un baracchino temporaneo, sul menu ci sia sempre – fate attenzione è scritto in piccolo – un pizzico di fantasia, una storia da ascoltare, un’emozione da condividere. Se mancano quelle cose, che senso ha andare a cena fuori?