Il mondo secondo Sir Burton, collezionista di mondi

Saggi e narrazioni

Il mondo secondo Sir Burton, collezionista di mondi

Fai quello che la tua natura umana ti ordina di fare,
Non aspettarti applausi se non da te stesso:
Vive e muore nel più nobile dei modi
Chi crea e difende leggi fatte da sé.

Richard Francis Burton, The Kasîdah, VIII: XXXVII

 

Sir Richard Francis Burton (1821-1890), ufficiale in servizio nelle colonie inglesi, ha dedicato l'intera vita al viaggio e all'avventura. Questo romanzo originale e polifonico restituisce con visionaria nitidezza il fascino della sua figura eccezionale quanto misteriosa!

Burton è una delle figure più romanzesche ed eccentriche del diciannovesimo secolo. Ufficiale in servizio nelle colonie inglesi, attraversa mondi all’epoca sconosciuti e pericolosi. Esplora a fondo le terre musulmane, dall’Egitto all’Arabia, l’Africa orientale, da Zanzibar ai laghi Tanganica e Vittoria alla ricerca delle sorgenti del Nilo, e l’India, da Baroda al deserto del Sindh.

Diplomatico, spia, orientalista, traduttore (sue le versioni inglesi del Kama Sutra e delle Mille e una Notte), Burton sazia la sua brama di sapere studiando a fondo le lingue, gli usi, i costumi e le culture che incontra, tanto da riuscire a confondersi perfettamente con le popolazioni locali. Travestito da pellegrino, sarà tra i primissimi occidentali a compiere l’Hajj, il viaggio sacro alla Mecca. La perdita dei suoi diari, bruciati dalla vedova dopo la sua morte a Trieste, rappresentò dunque un danno irreparabile non solo per i futuri biografi ma anche per la storia e l’antropologia.

Nessuno come lo scrittore bulgaro Ilija Trojanow poteva dedicare una grande narrazione a questo gigante dell’anticonformismo e dell’avventura: come il suo eroe, ha viaggiato e vissuto in tre continenti, ha studiato a fondo le culture, le religioni e le lingue, ha indagato la complessità della natura umana. In un romanzo originale e polifonico, Trojanow restituisce con visionaria nitidezza il fascino di una figura storica tanto eccezionale quanto misteriosa.

 

Ilija Trojanow è nato nel 1965 a Sofia. Nel 1971 fugge dalla Bulgaria attraverso la Jugoslavia e l’Italia, per arrivare in Germania, dove insieme alla famiglia chiede asilo politico. Nel 1972 si sposta in Kenya, e fino al 1982, con l’eccezione di quattro anni in Germania, vive a Nairobi. Seguono un soggiorno a Parigi, gli studi universitari a Monaco di Baviera, il trasferimento a Mumbai, poi a Città del Capo. Oggi, quando non viaggia, vive a Vienna. È autore di romanzi, saggi e libri di viaggio di grande successo in Germania e in Austria. In italiano sono stati tradotti L’uomo superfluo (Nutrimenti, 2007), Dopo la fuga (edt 2018). Tradotto in numerose lingue, Il collezionista di mondi (edt 2020) è stato un bestseller internazionale, con più di 400.000 copie vendute.

Inizia a leggere

Morì di mattino presto, ancor prima che si potesse distinguere un filo nero da uno bianco. Le preghiere del prete cessarono lentamente; si inumidì le labbra e deglutì la saliva. Il medico non si era mosso dal suo capezzale da quando il polso gli si era spento sotto le dita. Da ultimo l’ostinazione soltanto aveva mantenuto in vita il suo paziente; ma alla fine la sua volontà aveva ceduto a un coagulo. Sul braccio incrociato del morto posava una mano macchiata. Si ritrasse per appoggiare un crocefisso sul petto nudo. Troppo grande, pensò il medico, tipicamente cattolico, barocco quanto il torso coperto di cicatrici del defunto.
 

La vedova era in piedi di fronte al medico, dall’altra parte del letto. Non trovò il coraggio di guardarla negli occhi. Lei si voltò, si spostò tranquillamente verso la scrivania, si sedette e cominciò a scrivere qualcosa. Il medico vide il prete riporre la bottiglietta dell’olio e l’intese come un segnale per metter via le siringhe e la batteria elettrica. Era stata una lunga notte; si sarebbe dovuto cercare un nuovo impiego. Il che era molto spiacevole, perché si era affezionato a quel paziente e aveva vissuto volentieri nella sua villa, alta sopra la città, con vista sulla baia e, più in là, sul Mediterraneo.
 

Si rese conto di stare arrossendo, così arrossì ancor di più. Si scostò dal morto. Il prete, d’un paio d’anni più giovane del medico, guardava furtivamente in giro per la stanza. Su una parete, una carta del continente africano, stretta fra scaffali carichi di libri. La finestra aperta lo inquietava, così come ogni cosa in quel momento. I rumori repentini e attutiti gli rammentavano altre notti insonni. Il disegno alla sua sinistra, distante un braccio, bello e incomprensibile, lo aveva disorientato fin dalla prima volta che lo aveva visto. Gli ricordava che quell’inglese si era aggirato per paraggi abbandonati da Dio, di quelli che vanno a cercare solo gli incoscienti e gli sconsiderati. La sua caparbietà era famigerata. Di lui il prete non sapeva molto altro. Ancora una volta il vescovo si era sottratto a un compito sgradevole. Non era la prima volta che il prete aveva dovuto impartire l’estrema unzione a uno sconosciuto. Fidati del tuo buon senso: era stato tutto quel che il vescovo gli aveva dato per viatico. Strano consiglio. Non aveva avuto il tempo per orientarsi. Era stato travolto dalla moglie. Era stata lei ad assillarlo, a pretendere il sacramento per il moribondo, come se il prete glielo dovesse. Si era piegato alla sua volontà e se ne stava già pentendo.
 

Ora la donna era accanto alla porta aperta, consegnava al medico una busta e gli parlava con insistenza. Era il caso di dire qualcosa? Il prete ne accolse il ringraziamento, pronunciato con voce bassa ma ferma – che cosa avrebbe potuto dirle? –, e, con il ringraziamento, l’inespresso invito ad andarsene. Si accorse, dall’odore, che sudava, e tacque. Nel vestibolo gli porse il mantello, la mano. Lui si voltò, si fermò, non poté uscire nella notte con quel peso. Si girò di scatto verso di lei...