L'anima del Nord. Alla ricerca dello spirito scandinavo

Saggi e narrazioni

L'anima del Nord. Alla ricerca dello spirito scandinavo

Personaggi, vicende, cultura, storia e malinconie di un modo di intendere la vita che sta silenziosamente invadendo il nostro immaginario.

Mai come in questi anni le idee e lo spirito scandinavo sono presenti nelle nostre vite quotidiane. I mobili delle nostre case, la letteratura gialla e le fiction televisive, il rapporto con la natura e la vita all’aria aperta, persino la cucina e la filosofia domestica spicciola guardano con curiosità a questa affascinante parte d’Europa.

Ma quanto è realistica la percezione della Scandinavia che abbiamo attraverso tutte queste suggestioni? E in cosa consiste, esattamente, questa sfuggente “anima del Nord” di cui tanto si favoleggia? Lo scrittore inglese Robert Ferguson, trapiantato da quasi quarant’anni in Norvegia, tenta di rispondere in un viaggio attraverso il tempo e lo spazio che lo condurrà a raccontare le storie di uomini, eventi e persino di oggetti straordinari, dalla musica Death Metal norvegese al teatro di Strindberg, da Greta Garbo al burro Lurpak, dalle pietre runiche vichinghe al cinema svedese, da Knut Hamsun alla strage di Otoya, da Ibsen all’arte di Edvard Munch.

Un’immersione personale e coinvolgente in un mondo ricchissimo di vicende straordinarie e poco conosciute; un libro che aiuta molto a capire la peculiarità del Nord Europa, una meravigliosa elegia per lo spirito scandinavo.

 

Robert Ferguson, scrittore, drammaturgo e traduttore, è nato nel 1948 a Blackpool (UK). Dopo gli studi di lingua e letteratura norvegese si trasferisce a Oslo, dove vive dal 1983. Ha scritto diversi libri sulla Scandinavia e gli scandinavi, fra cui Henrik Ibsen: A New Biography, e le due importanti biografie Enigma: The Life of Knut Hamsun e Henry Miller: A Life. Nel 2010 ha pubblicato per l’editore Penguin il volume storico The Hammer and the Cross. A New History of the Vickings.

Un estratto

Dietro una curva di quella strada di campagna riapparvero alla vista. Non riuscivo a staccare gli occhi da loro. Ero come legato da un incantesimo. Mi sentivo come se fossi stato io a scoprirle. Come se fossi io la prima persona a vederle dopo oltre mille anni. C’era una fattoria sullo stesso lato della strada e, per entrare nel campo, bisognava percorrere una cinquantina di metri lungo un sentiero fangoso oltre l’aia.
 

Mentre risalivo quel sentiero, mi sforzavo di ricacciare indietro il timore strano e fastidioso che sembra cogliermi sempre davanti alla prospettiva di commettere la benché minima infrazione durante una visita a un paese straniero, anche qualcosa di innocuo come questa violazione di una proprietà privata. Di momento in momento mi aspettavo di udire, e poi di vedere, il nero e ispido cane alsaziano del fattore abbaiare e sforzarsi di raggiungermi, tirando l’estremità di una catena molto lunga. Cominciai a frugarmi nel cervello per cercare le parole che avrei detto al fattore quando si fosse mostrato, con il fucile in mano, accanto al cane. Meglio parlare in inglese. Confonderlo. Raggiunsi però la fine del sentiero e svoltai a sinistra, superando il cancello ed entrando nel campo senza alcun intoppo, e mi avviai verso di loro camminando a fatica nella neve.
 

Se ne stavano là, ritte, più distanti tra loro di quanto fossero apparse dalla corriera, alla distanza di quindici metri l’una dall’altra. Erano entrambe molto più alte di quanto mi fossi aspettato. Entrambe avevano una forma chiaramente fallica, o simile a un fungo. Camminai tra loro e mi ci accucciai davanti, prima l’una e poi l’altra, e toccai con mano leggera l’orlo di pietrisco che ne circondava la base sulla neve. Mi misi in punta di piedi dinanzi a loro e, allungandomi quanto potevo, ne toccai la faccia con le dita. Feci scorrere i palmi delle mani, in su e in giù, lungo i loro stretti orli. Respirai su di loro. Sussurrai loro qualche parola. Più volte, camminai attorno a loro. Le studiai e le fotografai da ogni angolatura e fui leggermente deluso di non trovare su nessuna delle due qualche traccia di una nave vichinga o una serie d’iscrizioni runiche. E quando non riuscii a pensare ad alcun altro modo per accostarmi a loro, chiusi gli occhi e, semplicemente, me ne rimasi là in piedi per qualche attimo, raggiante di gioia.
 

Avevo appena incontrato le pietre di Bro.