L’oceano e il cielo, alla ricerca del limite

Saggi e narrazioni

L’oceano e il cielo, alla ricerca del limite

Gli abissi marini, lo spazio e il desiderio dell’uomo di spingersi “oltre”.

 

Il titolo del libro di Bill Streever è Oceano profondo e l’esordio non tradisce le attese: già a pagina 1 si parla dell’abisso Challenger, all’estremità sud della Fossa delle Marianne, nel Pacifico, il punto in assoluto più profondo di tutti i mari del pianeta. Solo quattro persone si sono spinte laggiù. Un ufficiale della Marina degli Stati Uniti, Don Walsh, e un ingegnere svizzero, Jacques Piccard, riuscirono per primi nell’impresa: a bordo del batiscafo Trieste, toccarono il fondale a poco meno di 11.000 metri sotto il livello del mare il 23 gennaio 1960. Il terzo uomo a spingersi sul fondo dell’oceano è stato James Cameron, il regista di Titanic e Avatar: nel 2012 il suo sommergibile Deepsea Challenger ha raggiunto una profondità appena inferiore a quella toccata dal Trieste. Nel 2020, poco dopo la stesura del libro, l’ex astronauta americana Kathryn Sullivan si è aggiunta a questo club ultraesclusivo. Sullivan ha dunque passeggiato nello spazio e si è spinta nelle profondità oceaniche: due dimensioni lontanissime eppure per più di un verso collegate.

Tra l’impresa del Trieste e quella del Deepsea Challenger sono trascorsi 52 anni, un periodo piuttosto lungo durante il quale non sono stati condotti tentativi analoghi. «È come se gli Stati Uniti» osserva Streever «dopo aver portato Neil Armstrong a fare un gigantesco balzo per l’umanità, avessero voltato le spalle alla luna».

Una spiegazione molto solida e sintetica a questa disparità di trattamento e di attenzione è offerta da Don Walsh, intervistato da Streever: «con la NASA non c’è partita». Lo spazio, infatti, era molto più organico alla narrazione e allo spirito del tempo di quei tumultuosi anni Sessanta di quanto non fosse l’esplorazione degli oceani. A livello di immagini, per cominciare: negli abissi non si vede nulla, mentre dallo spazio arrivavano strabilianti fotografie del pianeta Terra azzurro e bianco.

Decisivo era anche il contesto geopolitico. In piena Guerra Fredda, gli Stati Uniti erano impegnati nella corsa allo spazio e l’Unione Sovietica era in vantaggio: dall’URSS era decollato infatti il primo satellite artificiale, lo Sputnik 1, e nel 1961, poco più di un anno dopo l’impresa del Trieste, i sovietici avevano mandato nello spazio il primo uomo, Jurij Gagarin. Nel 1962 il presidente John F. Kennedy aveva lanciato il programma Apollo, che si proponeva lo sbarco di astronauti americani sulla luna: «Scegliamo di andare sulla Luna in questo decennio e fare le altre cose, non perché sono facili, ma perché sono difficili».

Le suggestioni dello spazio e della luna, la competizione serrata con il nemico sovietico, scandita da una propaganda martellante e trascinata dallo spirito patriottico: era normale, come riconosce lo stesso Walsh, che le amministrazioni dedicassero risorse molto generose alla NASA e che le esplorazioni degli abissi dovessero accontentarsi di poco in termini di fondi, mezzi e personale.

Come la corsa allo spazio, l’attività dell’uomo sotto il mare, che si tratti di raggiungere con un batiscafo le profondità più remote o di spingersi in apnea a pochi metri dalla superficie, è mossa in buona parte dalla ricerca del limite, finalizzato non tanto a figurare sui libri dei record (il Guinness dei Primati ha tra l'altro posto un freno ai tentativi più pericolosi, come quelli dei sub che utilizzano bombole ad aria compressa) quanto al gusto di spostare un po’ più in là l’asticella del possibile. Al fascino di questa rincorsa non sfugge Bill Streever, che il mare lo conosce e lo pratica da sempre: ha lavorato come subacqueo sulle piattaforme petrolifere, è un apneista esperto, nutre una grande passione per i robot sottomarini, vive su una barca a vela insieme alla moglie che è biologa marina.

Si può discutere se questa ricerca sia sempre necessaria o giustificata. I limiti non sono ingiustizie imposte all’uomo, antagonisti alla potenza umana, ma sono al contrario essenziali al vivente perché fondano la stabilità che lo caratterizza. Di questo Streever è ovviamente consapevole: l’argomento è affrontato in più punti nel libro e soprattutto nelle ultime, vibranti pagine, dedicate alla necessità di tutelare l’ambiente marino sempre più minacciato dalle pratiche ecocide dell’uomo. Ci ritorneremo.

Nel frattempo, ecco un quiz sulle profondità degli abissi: accetti la sfida?