Definire una musica indefinibile: progressive rock, una storia

Musica

Definire una musica indefinibile: progressive rock, una storia

“Gli autori del prog volevano dare una scossa ai preconcetti con cui gli ascoltatori si avvicinavano alla musica pop».

 

Era la fine degli anni '60, il rock and roll nelle sue diverse forme riempiva i palchi e le classifiche di mezzo mondo; la musica pop era dominata da influenze britanniche e afroamericane. 
Il progressive rock giunse come un terremoto a scompaginare le carte: “Quasi tutto il rock aveva alla base il blues e il soul e in misura minore il country and western e il gospel", racconta Greg Lake di Emerson, Lake and Palmer, "Molta musica progressive, invece, si rifà piuttosto a radici europee". Gli autori del prog non volevano parlare d'amore, l'"amore" in sé non gli interessava. Soprattutto volevano fuggire letteralmente dalla forma di canzone da classifica di tre minuti con strofe e ritornelli: "un'idea musicale più era folle e più sembrava bella", dice Bill Bruford degli Yes.
All'improvviso un fenomeno geniale e onnivoro, diverso da tutto, spettacolare e ricercatissimo, irrompeva nell'intero panorama del music business, fruttando incassi stratosferici a discografici e organizzatori di concerti. Non passò però nemmeno un decennio che la grande bolla progressive si sgonfiò sotto le lame affilate del punk e della new wave, e il risultato è che ora ne abbiamo un ricordo pomposo, vuoto, esageratamente barocco e artefatto. Come è stato possibile che in così poco tempo la gallina dalle uova d'oro, così artisticamente imponente, si sia rinchiusa in un minuscolo regno di nostalgia e magniloquenza?

David Weigel ha raccolto le fila di un movimento variopinto, difficilissimo da racchiudere in stilemi precisi - ne sono stati individuati almeno diciannove sottogeneri, tra cui "neo-progressive", "neo-classical progressive", "rock in opposition"… - attraverso centinaia di testimonianze originali e interviste con i più grandi esponenti e con i musicisti meno appariscenti della scena progressive rock, in particolare quella britannica. Moody Blues e Procol Harum, Soft Machine e Yes, King Crimson e Genesis, fino ai Caravan e ai Barkley James Harvest, ma anche PFM e Banco del Mutuo Soccorso nell'appendice a cura di Jacopo Tomatis: moltissimi i nomi che hanno affollato le suite e le partiture di un mondo musicale strutturato, eppure fluido.

In Progressive rock ci sono anche molti, moltissimi aneddoti: dal concerto dei King Crimson ad Hyde Park nel 1969 a quando Keith Emerson acquistò il suo primo organo, dalle ambiziose cover di musica classica (o la loro ispirazione, come per Days of future passed dei Moody Blues) a come nacque la suite di Tubular Bells di Mike Oldfield, dalla nascita di band storiche come Yes o Genesis fino agli anni Ottanta e Novanta, in cui Rush, Porcupine Tree o Asia portavano alta la bandiera del prog nonostante la sua decadenza.

Quella che racconta Weigel è una storia ambiziosa oltre limite, costellata di scelte sbagliate, ma talmente ingenua e satura di talento da somigliare a una splendida favola: quella della musica che può davvero salvare il mondo.

 

«Prima del prog, il rock non aveva mai conosciuto aspirazioni artistiche così ambiziose. Paragonato ai pop corn del pop, il prog era un banchetto musicale luculliano».