Donne, corpo, viaggio

Saggi e narrazioni

Donne, corpo, viaggio

Ella Maillart è stata, tra le donne della propria epoca, una di quelle che hanno maggiormente messo in gioco il corpo esponendolo ai viaggi per il mondo. Un approfondimento sul ruolo politico del corpo partendo dai suoi libri.

 

Ella Maillart, di solito piuttosto avara di considerazioni teoriche nei propri racconti di viaggio, dedica un intenso passaggio de La via crudele al funzionamento del corpo. Durante uno dei momenti di riflessione sul male di vivere di Christina (Annemarie Schwarzenbach), che la accompagna sulla via dell’Afghanistan, Maillart valuta il funzionamento dell’essere umano attraverso una netta distinzione tra mente e corpo. «Il corpo» dice «può a volte esigere di non essere dimenticato ma, condizionato dalla mente di cui non è che uno strumento momentaneo, non ha il potere di disequilibrare un essere pensante».

Al di là dell’attendibilità biologica e filosofica, queste osservazioni vanno valutate nel contesto in cui la scrittrice agiva: la sua compagna di viaggio attraversava momenti di disperazione e di dipendenza fisica, ed è naturale che gli effetti di questa dipendenza sul corpo di Christina facessero orrore a Maillart e la spingessero ad auspicare una subordinazione del corpo al pensiero. Di questa subordinazione si può discutere partendo dalla rilevanza politica del corpo, soprattutto dal punto di vista femminista. 

Il viaggio pone il corpo al centro della scena. Uno degli aspetti fondamentali della ricerca di Maillart è il decentramento, l’affrancamento dai pretesi valori dell’Occidente: per raggiungerlo i corpi si spostano attraverso paesaggi segnati da altri sguardi, altre lingue, altri alberi, altri animali. Il corpo di Maillart ha girato il mondo, per terra e per mare, e di questa costante e coraggiosa esposizione c’è traccia in ciascuno dei suoi libri. 

Il racconto dei suoi viaggi non prescinde mai dagli elementi fisici: i rigori del clima, le malattie, i disagi degli spostamenti massacranti, ma anche le sensazioni di gioia legate alla vita all’aria aperta e alle scoperte lungo il cammino. Gli effetti e i ricordi si susseguono nelle pagine: la vicinanza dell’acqua e il piacere di un tuffo, il vento che, in India, «posava sulle nostre labbra un gusto dolciastro», l’odore dello sterco bruciato che aleggia in un villaggio armeno, i sobbalzi e gli scarti di un cavallo bizzoso, il ghiaccio che fa lacrimare gli occhi, le febbri e i mal di testa e la fatica che mette alla prova.

Il corpo entra in gioco anche per sopperire a disorientamenti e mancanze, per esempio quando l’impenetrabilità delle lingue ignote sembra rendere impossibile la comunicazione: Ella Maillart conosceva il russo ma non il cinese, il che rendeva problematici i rapporti con le genti incontrate durante il viaggio da Pechino verso il cuore dell'Asia. Peter Fleming, che la accompagna nella traversata di cui parla Oasi proibite, sapeva il cinese e pertanto si occupava di un gran numero di questioni pratiche, ma certamente Maillart soffriva della mancanza di uno strumento non mediato per entrare in contatto con le persone conosciute lungo la strada. Doveva quindi affidarsi ai gesti, agli sguardi, alla mimica, spingersi con il corpo dove non arrivava il linguaggio verbale.

Ella Maillart, dunque, è una donna che viaggia e che scrive, molto consapevole del corpo che si porta dietro, ben oltre la marginalità che sembra attribuirgli. A Samarcanda incontra «un artista che sta dipingendo un quadro per commemorare la “Marcia delle donne emancipate nel Registan"». «In quell’occasione» si legge in Crociere e carovane «le donne si tolsero per la prima volta i loro veli, bruciandoli in grandi falò per le strade. Con questo gesto rivoluzionario molte di esse andarono contro la volontà dei propri mariti e furono picchiate per aver disobbedito, alcune perfino uccise. Per noi che non abbiamo mai vissuto in una comunità musulmana osservante è impossibile capire fino a che punto una nuova usanza possa scandalizzare le persone attaccate alla tradizione».

A fare la differenza, dunque, è proprio l’esperienza della donna nel proprio corpo. Le identità cedono il passo alle pratiche, tra cui i viaggi e le disposizioni materiali che li determinano. Si fissa così il limite tra comprensione e conoscenza: per “conoscere” davvero che cosa voglia dire essere una donna è necessario essere una donna.