Il favorito di Solimano

Saggi e narrazioni

Il favorito di Solimano

Tra le varie figure pubbliche che hanno caratterizzato il lungo regno di Solimano (1520-1566) spicca Ibrahim Pascià. Nato con il nome di Piero sulle coste albanesi flagellate dai pirati, venne rapito durante una scorreria e venduto come schiavo a una ricca vedova dell’Anatolia, che lo educò e qualche anno dopo lo cedette a Solimano, giovane principe in visita.

Nel 1523 Ibrahim, che non aveva ovviamente alcuna esperienza di governo, fu promosso in modo del tutto irrituale alla carica più alta dell'impero, quella di gran visir, e passò al servizio personale del sultano. Per i tredici anni successivi, Ibrahim Pascià accumulò un'enorme autorità e poteri quasi illimitati, reggendo in prima persona l'amministrazione politica e militare dell'impero.

Nel brano che segue Christopher de Bellaigue racconta le origini e la prima fase dell’affermazione di Ibrahim, che Solimano vuole sempre accanto a sé con grande costernazione della corte.

Estratto dal capitolo Atto primo. Il favorito

Come il suo soprannome suggerisce, “l’Occidentale” era nato cristiano. Nei primi anni della sua vita, suddito di Venezia, aveva vissuto a Parga, in Albania, sulla costa di fronte all’isola greca di Corfù. A quei tempi si chiamava Piero. Il padre vendeva pelli di animali. Un giorno erano sbarcati i pirati ed erano ripartiti portando con sé il piccolo Piero. Era suppergiù il 1498. Il ragazzino si ritrovò in Anatolia, dove venne comprato da una vedova benestante che lo educò. Abbigliamento e portamento; musica e lingue. Un giorno stava suonando con molta grazia il violino quando Solimano, a quel tempo principe, venne in visita e la vedova, non disponendo di qualcos’altro degno del suo illustre ospite, gli fece dono del suo pupillo, che ormai si chiamava Ibrahim.

 

Nell’agitato settembre in cui il principe divenne sultano, Ibrahim viaggiò con lui, una galoppata dalla costa alla metropoli. E i pascià, che non si aspettavano di veder arrivare due persone, non riuscivano a staccare i loro occhi pieni di disapprovazione da quel brutto giovane in cui il loro nuovo signore cercava sostegno e compagnia, e chiesero… lui chi sarebbe?

 

Sin dai tempi del Conquistatore, i sultani hanno preso l’abitudine di favorire degli schiavi, dato che non rappresentano alcuna minaccia. Il loro destino è legato a quello del sultano che li ha scelti. Non dispongono di un potere di natura autonoma e si possono ricacciare giù non appena mostrano segni di poter costituire una minaccia.

 

Sono sostituti. Poiché il Conquistatore, nella sua saggezza, aveva decretato che il sultano ottomano poteva legittimamente mettere a morte i suoi fratelli, il Sovrano dei Sovrani è destinato a non avere fratelli e, logicamente, neppure zii. Che mancanza! Che contrasto con la compagnia maschile che esiste in ogni altra famiglia, di alta o bassa estrazione! Anziché germogliare in una selva di relazioni, il sultano come compagnia non ha che tronchi tagliati. Le specie aliene vengono introdotte perché danno ombra e protezione.

 

“L’Occidentale”.

 

È esile, forse ha il viso un po’ piccolo rispetto alla testa, è pallido, fisicamente insignificante. Ha pochi denti, storti. Ma compensa la sua bruttezza con il fascino e l’eloquenza. Ama la vita. Adora il violino, il cacio piacentino e il moscato. Conosce l’italiano, il greco, il francese, il turco, l’arabo e il persiano, sebbene la sua grafia in arabo sia quella di un bambino e quella in italiano piuttosto bizzarra. Gli piace apprendere le storie dei signori del mondo, dei luoghi e delle cose. Legge di Alessandro Magno, di Annibale il Cartaginese, di guerre e di storia. Leggendo di Alessandro Magno è possibile che “l’Occidentale” veda se stesso nel ruolo di Efestione, il compagno del grande condottiero. Chissà! Nelle sue stanze c’è un musicista persiano, e insieme a lui compone musica. Condivide con il suo signore il gusto per quelle cose.

 

Il sultano è solo. È semplicemente naturale.

 

Il titolo “pascià” significa uomo di comando. Si usa per fare riferimento ai più alti ufficiali della Sublime Porta, come i governatori generali, i governatori provinciali e l’alto ammiraglio, detto qapūdān pascià. Nelle occasioni protocollari, un pascià è preceduto da un uomo che regge uno stendardo su un’alta asta a cui sono appese anche code di cavallo, più ce ne sono, più alto è il rango del dignitario. Per tale ragione ogni pascià è conosciuto come pascià a una coda o a due code, e così via, in base al numero di code presenti sulla sua asta. Il gran visir è un pascià a cinque code. Il sultano ne ha sette.

 

La tradizione risale a uno degli antenati del sultano. La bandiera del suo esercito era stata sottratta dal nemico e i suoi uomini si erano persi d’animo, allora il khan mongolo aveva tagliato con la spada la coda di un cavallo e, legandola a una lancia, aveva gridato: «Ecco la mia bandiera! Chi mi vuole bene, mi segua!». I suoi uomini, rincuorati dalla quella mossa estemporanea, avevano vinto la battaglia.

 

I pascià che Solimano ha ereditato da suo padre gli stanno insegnando a governare. Sono Piri, che prestava servizio sotto Bayezid, i giovani Ferhad e Ahmed, e poi c’è Mustafà Pascià, che ha una collocazione intermedia.

 

Avendo dimostrato lealtà a Selim nei momenti più pericolosi della sua ascesa al trono, i pascià si sentono traditi dalla sua morte prematura e nervosi per le novità che il figlio potrebbe introdurre. E sono diffidenti nei confronti dell’amico di Solimano, Ibrahim, che non ha superato prove, non ha presieduto consigli e non ha vinto battaglie, eppure fa fare al suo signore quello che vuole lui, come se gli avesse messo un anello al naso.

 

Per reagire alla disapprovazione dei dignitari, Solimano può fare due cose. Scaricare “l’Occidentale” oppure tenerselo ancora più stretto. Sceglie la seconda opzione e provoca una costernazione così profonda, un precedente così inquietante che la corte preferisce passarlo sotto silenzio.

 

Solimano sa che nominare prematuramente Ibrahim a una carica pubblica avrebbe conseguenze sgradite. Esporrebbe “l’Occidentale” a responsabilità per le quali è impreparato. Inoltre, è negli appartamenti privati che Solimano desidera godersi l’amico. Dunque nomina Ibrahim alle posizioni che gli consentono di accedere liberamente a quegli appartamenti. Capo della camera privata. Falconiere personale. Capo dell’amministrazione del palazzo. Quest’ultimo ruolo è solitamente ricoperto da un eunuco. Ibrahim non è un eunuco.

 

In camera da letto del sultano non c’è un letto già pronto, ma in un angolo ci sono tre materassi di velluto cremisi, di cui due sono imbottiti di cotone e uno di piume, con due coperture di taffetà cremisi e tre cuscini simili, dai quali pende un drappo di seta verde con un bottone d’oro. Di sera i paggi stendono i materassi sul pavimento, sopra i tappeti, prima i materassi di cotone, poi quello più fine di piume, in maniera che insieme i tre raggiungono l’altezza del ginocchio di un uomo, poi sistemano lenzuola, coperte e cuscini; preparano il letto discosto dalla parete così da poterci girare intorno; e accanto a ogni angolo del letto depongono un candelabro d’argento con una candela bianca; in alto, appendono a dei cordoni di seta un baldacchino d’oro che sormonta il letto e, quando è tutto pronto, accendono le candele e chiamano il sultano.

 

Ibrahim dorme con il suo signore, con le teste che si sfiorano; sono soli, a parte i due attendenti che vigilano, uno alla testata del letto, l’altro ai piedi, ciascuno con delle torce accese. E durante il giorno, il sultano gli scrive di suo pugno teneri biglietti e li manda usando uno dei suoi servi muti, e Ibrahim risponde raccontandogli tutto quello che ha fatto, insomma, il signore non può vivere senza lo schiavo, né lo schiavo senza il signore. Certe volte, accompagnati da un rematore, li si vede approdare con una barchetta sotto il palazzo e proseguire a piedi, oppure dedicarsi alla falconeria sulla costa asiatica. E ogni desiderio di Ibrahim è un ordine, che si tratti di farsi intrattenere dai nani, o di farsi leggere a voce alta il trattato medico di Avicenna, oppure di condividere una pesca.

 

Se il sultano ordina un capo di abbigliamento per sé, ordina il medesimo per Ibrahim. È come se fossero una cosa sola, il discendente del Conquistatore e un ragazzo nato su una spiaggia, l’Ombra di Dio sulla Terra e la sua ombra.