Il femminino d'Oriente

Saggi e narrazioni

Il femminino d'Oriente

La narrazione eurocentrica e colonialista ha sempre attribuito all’Oriente caratteristiche di donna da sedurre e conquistare. Ella Maillart non si è mai adeguata a questo schema.

 

Ella Maillart è una delle non molte viaggiatrici-scrittrici considerate rilevanti nel canone orientalista. Insieme a lei, poche personalità sparse lungo duecento anni: Lady Mary Wortley Montagu, aristocratica settecentesca che viaggiò a lungo nell’Impero ottomano; Ida Pfeiffer, la prima donna europea a spingersi nell’interno dell’isola del Borneo; Alexandra David-Néel, che nel 1924 arrivò a Lhasa, allora interdetta agli stranieri, e scrisse oltre trenta libri di viaggio.

È un novero molto ristretto non certo per mancanza di candidate: contrariamente a quanto si può pensare, infatti, esiste un vasto corpus di testi, soprattutto in francese, scritti da donne e dedicati all’Oriente. Quasi tutti, però, hanno vissuto brevi momenti di popolarità, soprattutto in occasione delle conquiste coloniali della Francia in Africa e in Estremo Oriente, prima di venire relegati nella letteratura di genere, quella delle piccole storie quotidiane, libri scritti da donne per un pubblico di donne. 

Maillart è dunque una viaggiatrice dell’Oriente che è riuscita a far sentire la propria voce in condizioni difficili. Ha vissuto la propria giovinezza e i propri viaggi nel primo dopoguerra: per una donna, di per sé subalterna nel contesto sociale europeo, decidere di partire era tutt’altro che facile. Intervenivano due declinazioni della figura di outsider, l’Altro esotico, l’Oriente, e l’Altro della quotidianità, la donna. Tanto più che l’Oriente è da sempre rappresentato dalla prospettiva eurocentrica e colonialista come un’entità femminile da affascinare e soggiogare. In una prospettiva di potere, l’elemento femminile è considerato come qualcosa di incompleto, privo di soggettività, in attesa della conquista. 

Non va trascurato, poi, il legame indubbio tra letteratura di viaggio e colonialismo. Molti racconti di viaggio, anche scritti da donne, non sono particolarmente critici verso le diverse forme di ineguaglianza come il sessismo, il razzismo o i pregiudizi di classe. Questo non toglie niente al valore delle testimonianze e al coraggio delle narratrici: si tratta soltanto di analizzare un fenomeno con gli errori, le contraddizioni e le spinte opposte comuni a tutti i fenomeni.

I viaggi hanno quindi in sé qualcosa di ambivalente: chi li intraprende opera senz’altro un allargamento degli orizzonti, ma si espone anche a forme di appropriazione dell’Altro. Maillart, in ogni caso, non corre di questi rischi: nei suoi libri non c’è spazio per legittimazioni dell’oppressione o orientalismi deteriori. Piuttosto, con il passare del tempo e l’accumularsi delle esperienze cambiano gli interessi dell’osservatrice: nei primi libri prevale l'interesse etnografico, il viaggio con Fleming (Oasi proibite) apre la strada a una maggiore ricerca di assoluto, quello con Christina (La via crudele) ha come obbiettivo la risposta alle grandi questioni dell’esistenza. In questo caso il finale è amaro: Maillart si rende conto di non essere in grado di salvare Christina dai suoi demoni. «Lasciatemi dunque soffrire!» è il grido della sua compagna di viaggio.

È un punto di svolta nella vita della scrittrice, che capisce di doversi rivolgere altrove, prestando maggiore attenzione al viaggio spirituale che a quello fisico:

«Seppur troppo giovane per essere stata colpita di persona dalla prima guerra mondiale – al contrario di Gerbault che vide morire accanto a sé tre dei suoi migliori compagni – credo di aver sofferto indirettamente quanto i miei amici hanno subìto e di esserne perciò stata influenzata. Quella guerra mi ha spinto a prendere la via del mare, per sempre disillusa della nostra civiltà. Il conflitto che oggi si è scatenato mi obbliga a ricercare il significato del mondo, il comune denominatore di ognuno di noi, i presupposti indispensabili per ricominciare a vivere».

La ricerca di pace la porterà in India, in compagnia di una gatta (Ti-Puss) che la aiuterà concentrarsi sull’interiorità e a gioire del presente come mai prima.