Il tutto e l’individuo: il senso del viaggio

Saggi e narrazioni

Il tutto e l’individuo: il senso del viaggio

Perché si viaggia? È la domanda che Ella Maillart si pone nel testo che apre la raccolta di scritti appena uscita per la Piccola Biblioteca di Ulisse.

In generale, c'è chi viaggia per appagare il bisogno di sentirsi vivo, di tornare attraverso il movimento a essere padrone del proprio destino. Altri vogliono rendersi conto di persona se le società diverse dalla nostra, meno attrezzate sotto il profilo della tecnologia e delle comodità quotidiane, vivano in qualche modo meglio. Altri ancora cercano di appagare lo spirito di avventura, ciascuno come può, senza avere necessariamente tempra da esploratori. C'è poi chi desidera rompere una routine che lo soffoca, o chi vorrebbe lasciarsi tutto alle spalle e fuggire.

Prima e al di sopra di tutte queste ragioni, secondo Maillart, c’è la relazione tra l’individuo e l’assoluto. L'uomo è mosso, in ultima analisi, dal desiderio di «possedere il tutto». Ma, si chiede l’autrice, «si potranno mai vedere simultaneamente “i dieci milioni di cose” dell’universo in modo tale da diventare il tutto?». Come si fa a determinare l'assoluto?

Una risposta arriva dal Buddha: «Nessun viaggio conduce alla fine del mondo. In verità, io dico, è in questo corpo lungo sei piedi, con le sue facoltà di percezione e la sua mente, che risiede il mondo, tanto la sua apparizione quanto la sua scomparsa – così come la sua dissoluzione». Nei viaggi e nella vita, dunque, l'uomo, «questo corpo lungo sei piedi», non può mai lasciare indietro se stesso. Ecco perché Maillart ritiene che il viaggio come fuga non sia che un’illusione: «Ci si porta dietro il proprio modo di essere. Era sempre me stessa che trovavo, in fondo al viaggio».

A questa tensione verso l’assoluto, a questo desiderio di vastità, si risponde non cercando, ma creando; la vastità va creata, come ha scritto Saint-Exupéry, parole che Maillart considera un riassunto della propria vita. La vastità deve essere in noi, e intorno a essa va costruita una trama di legami, di coordinate, di valori, di qualità. Soprattutto, è indispensabile passare dall’esperienza: «Un lettore inveterato può concepire intellettualmente l’amore; ma se non prende rischi personali nel deserto dell’amore, non ne conoscerà mai la realtà, con le sue pianure aride, le sue oasi zampillanti. L’eternità di un concetto deve attraversare la trama del tempo che scorre e muore: una potenza verticale che deve sposare la terra orizzontale».

Questa centralità dell’esperienza, peraltro, sottolinea l’importanza della dimensione individuale accanto a quella universale. Maillart se ne rese conto durante il viaggio intrapreso nel 1935 insieme a Peter Fleming, la traversata della Cina da est a ovest, verso le “oasi proibite” dello Xinjiang e poi fino al Kashmir. L’itinerario era lo stesso, ma Maillart e Fleming fecero due viaggi completamente diversi: «Come se ogni viaggiatore portasse lenti colorate diversamente».

La necessità di armonizzare individuo e tutto concorre anche a spiegare l’insofferenza che Ella Maillart sviluppò fin da giovanissima verso il modello europeo di società, in cui il possesso di beni non bastava a rendere felici e il soggetto soffriva la mancanza di una dimensione più grande di lui. In Asia la scrittrice trovò un mondo in cui l’individuo poteva sentirsi parte di un tutto, una riproduzione in scala ridotta dell’ordine dell’universo, a livelli diversi di partecipazione e di integrazione.

Dopo tanti anni e tanti viaggi, Maillart dichiara così di sapere con certezza assoluta perché si viaggia: per trovare se stessi. Nel finale del saggio compaiono immagini molto potenti. Le situazioni della vita, come un proiettore, illuminano i diversi aspetti di noi fino a svelare quelli che ci corrispondono davvero; il nostro particolare punto di vista, inteso come una “finestra”, viene situato nella “cornice” che è la maniera di vivere propria di ciascuno: «Allora, invece di straziarmi, tutte le mie tendenze convergeranno perché, alla fine, io mi conoscerò. In se stessa, la finestra non è importante, lo è solo grazie alla luce che la attraversa e alla vista cui dà accesso. Sì, nello stesso momento colui che si è trovato si è anche superato, sfaccettatura e cornice particolari avranno avuto un’importanza solo momentanea: quella di condurre alla Luce».