Una birreria, la notte della Vigilia
Vigilia di Natale. Alla stazione di Praga arriva un treno proveniente da Berlino. Ne scende un uomo di nome Jára. Vorrebbe incontrare alcuni amici, ma non riesce a trovarli, così si avvia da solo per le strade della città coperta di neve. L’estratto che segue vede il protagonista entrare in una birreria in cui lui stesso, diciassettenne, aveva bevuto la sua prima birra nella capitale. Il locale è pieno e tra gli avventori c’è un uomo la cui testa si illumina come una lampadina: possibile? Sì, siamo a Praga, e non è una notte come le altre.
Mi sono perso per la prima volta alla stazione centrale di Praga. Fu la prima, ma non l’ultima. Avevo sei anni, e mancavano un paio di giorni a Natale. Oggi ho molti anni in più, scendo dal treno e lascio che la gente mi sciami tutt’intorno. Me ne sto in piedi al centro del grande atrio di vetro e acciaio. Oggi non mancano due o tre giorni a Natale. Oggi è la Vigilia.
Sono sulla banchina. Intorno a me, i viaggiatori scesi dal mio treno da Berlino imboccano il sottopassaggio, e dal sottopassaggio escono altri viaggiatori che vanno a un altro treno diretto a Vienna. Credo sia la stessa banchina su cui mi ero perso allora. La prima volta che venni a Praga. La prima volta in una grande città. In una capitale. Una gita in giornata con mio padre.
Me ne sto lì fermo e vedo in mezzo a tutta la gente mio padre che mi cerca. Come un pazzo corre di qua e di là tenendo in una mano un bicchiere di carta con la Kofola (la versione cecoslovacca della Coca-Cola) e nell’altra un bicchiere di carta con la birra, e non riesce a trovarmi.
«Ancora adesso mia madre non ne sa nulla. Mio padre l’ha rimosso.
Telefono ai miei amici. Vogliamo trascorrere insieme la Notte Santa. Anche loro vengono, come me, dal Paradiso Boemo. Ma non risponde nessuno. Lascio la valigia in una cassetta del deposito bagagli e mi viene in mente che mio padre aveva un conoscente che lavorava all’Ufficio oggetti smarriti. E che quando mi perse di vista sulla banchina, il suo amico nell’Ufficio oggetti smarriti era stata la sua ultima speranza. Di certo qualcuno mi avrebbe trovato e portato lì.
Una volta l’amico aveva mostrato a mio padre l’Ufficio oggetti smarriti. Tutto era ben organizzato. Su un ripiano gli ombrelli, su un altro le valigie, lì un giocattolo, qui lettere e libri, più in là alcolici e cibi in conserva. Uno scaffale era riservato ai regali di Natale smarriti. L’amico di mio padre gli aveva raccontato che nessuno mai veniva a richiedere i regali di Natale. Che dopo un anno venivano dati in regalo, lì alla stazione.
Vado a prendere il tram. Con il numero ventidue mi muovo lentamente lungo la Moldava per poi salire fino al castello di Praga. Quando è da un po’ che non vengo in città, prendo sempre il tram ventidue. Quando è da un po’ che non vengo in città, bevo sempre la prima birra al Bue Nero. In questa birreria ha bevuto la sua prima birra a Praga mio padre quando faceva il soldato.
Molti anni dopo anch’io ho bevuto qui la mia prima birra a Praga. Non ero un soldato ma uno studente. Era il settembre del 1989, avevo diciassette anni. I tedeschi dell’Est, i “Trabis”, come li chiamavamo noi, stavano fuggendo a Ovest passando dall’ambasciata praghese; li vedevamo sulle Trabant e Wartburg e Lada e Škoda con la targa della DDR. Anche noi stavamo scappando. Hana ed io.
Senza farci notare, durante la visita al Museo del Partito Comunista della Cecoslovacchia ci eravamo separati dal nostro gruppo di ginnasiali perché io avevo sentito mio padre dire che nel Quartiere del Castello c’era un sacro locale che sarebbe stato molto meglio del museo del Partito.
Da allora questa birreria è per me un luogo sacro. Da allora vengo qui e sulla porta mi lascio trafiggere dai severi e fiammeggianti occhi di un bue. Qualcuno una volta mi ha detto che il bue è il Golem, il Golem di Praga. Molti a Praga cercano il Golem. Ma lui si è trasformato in un bue nero.
Mi seggo allo stesso tavolo di allora, un tavolo sotto le insegne nobiliari dei signori di Smiřic o Schmiritz del Paradiso Boemo, dove sono nato io, e osservo gli stemmi degli altri aristocratici boemi. In questa birreria si può imparare molto sulla storia. E anche sulla birra. E oggi anche sul Natale, sulla carpa nella vasca da bagno, sui diversi modi di preparare l’insalata di patate e sui biscotti di pasta frolla.
Non occorre ordinare, come in ogni locale come si deve ti mettono davanti la birra anche senza ordinarla. «Non si viene mica in birreria per bere limo- nata», dice sempre mio padre.
Allora, nel 1989, vi sedevano tre tedeschi, penso di Pirna o forse di Borna, che sarebbero andati anche loro all’ambasciata della Germania Federale dopo aver bevuto l’ultima birra. E anche due ciechi provenienti dal vicino Istituto per non vedenti. Oggi siedono qui alcuni austriaci e molta gente del posto prima di tornare a casa e alla propria famiglia. E anche un paio di figure solitarie, che qui sono di casa.
La birra è buona come allora. Come sempre. Entra un uomo. Ha il passo un po’ insicuro. È un po’ goffo. Un po’ perso. Ed è vestito come in estate. Si ferma in piedi all’ingresso, in un leggero soprabito nero e senza sciarpa. Come fanno tutti, anche lui per prima cosa fissa negli occhi il bue alla parete.
Anche questo cliente non ha bisogno di chiedere e riceve subito la sua birra. Afferra il bicchiere con entrambe le mani, come se la birra potesse scaldar- gliele. O come se le mani potessero raffreddare la birra. Poi beve.
Quando il bicchiere è vuoto, la sua testa si illu- mina come una vecchia lampadina. È una debole luce gialla. Tutti smettono di parlare e osservano l’uomo luminoso e l’uomo luminoso osserva il locale. Poi si alza in piedi, paga e se ne va.
«Qualcuno lo conosce, questo faro?», chiede un cliente abituale.
Ma nessuno conosce quest’uomo, questo Faro di Praga.
<«Forse l’abbiamo solo sognato», dice un altro cliente abituale.
E sua moglie dice: «Dopo cinque birre anche tu cominci a illuminarti. E dopo due rum».
«Forse, ma non così, non come questo faro.»
«Ma certo, proprio così».
«Ma questo non è normale…»
«Ma sì, a Praga succedono cose così, lo diceva anche mia nonna. È poi oggi è Natale».




