#ioriparto: Andrea Berrini – Sarà come tornare a casa

#ioriparto: Andrea Berrini – Sarà come tornare a casa

Come ripartire? Diciamo che mi piacerebbe poter partire ancora. La prima volta fu cinquant’anni fa, ne avevo diciassette, in tre arrivammo fino a Kabul con mezzi di terra, come si diceva allora. Treni, autobus, qualche pezzetto in autostop. Istanbul lasciava senza fiato, entravo nelle moschee, ampi spazi vuoti e in penombra, poche persone sedute sui tappeti, perfino sdraiate a dormire, nessun segno, forse solo l’indicazione di una direzione. L’Anatolia era stata un alternarsi di foreste e terre aride, poi l’Ararat, e giù verso la Persia. Teheran, Masjad, entrammo in Afghanistan a Herat, il viale principale ricoperto di un ghiaino fine per non far volare la polvere, percorso da calessini come quelli del trotto a San Siro. Fu uno shock, l’unica cosa che sapevo pensare era: così forse viveva l’Italia nel medioevo, la pastorizia, le carovane dei commercianti, i negozi erano cubi in muratura sull’angolo del quale sedeva un uomo con la barba che ci offriva il tè. E quindi: esistono mondi altri, diversi dal mio. Quello a cui sono abituato non è l’unica possibilità del vivere, e quindi è relativo, modificabile: nella mia vita è presente l’inatteso. Era già passato il sessantotto, ma fu lì lo spartiacque, e poi la vita l’ho passata per una sua buona parte a cercare un altrove, persone che provenissero da classi sociali diverse dalla mia, luoghi lontani non perché lontani nello spazio ma perché diversi: la possibilità di un confronto, di una messa in discussione, il ribaltamento di una condizione di partenza.

Partire, oggi, sarà impossibile per un po’, ed è meglio che mi metta il cuore in pace. Vorrei tornare a Pechino a capire come se la cavano i miei amici in questo ritorno alla normalità, ammesso che sia vero. A Bombay: sarà terribile, non vedo come si possa mantenere il distanziamento dentro a certi slum, quando noi qui ne saremo fuori il morbo infurierà nel terzo mondo, non oso pensare ai campi profughi.

Partire? Ma a me, sull’orlo della mia crisi di nervi da settimane per la claustrofobia, la paura, lo sconcerto e l’incertezza, basterebbe tornare: al mondo di prima. Invidio, davvero, chi riesce a raccontarmi che ‘la normalità è il problema’. Beh, lo si dice da sempre che tutto dovrà cambiare, e continuare a dirlo è ripetere: tornare a uno stato precedente. Ritrovarsi seduti a un tavolo, intorno gli amici, buone pietanze e sostanziose e magari dirci, ancora una volta, cosa va cambiato. È il capodanno della nostra vita questo: facciamo buoni propositi che poi chissà se riusciremo a mantenere. Ma da capodanno è facile uscire, il doposbronza passa, gennaio è la normalità: qui no, qui sarà un lungo remare controcorrente. E li temo, i cambiamenti, in peggio: chi dirà chiudiamoci, fuori da qui lo straniero, e parola fine a chi attraversa i confini, altro che partire, e chi si inventerà identità posticce sul rifiuto di un vaccino. Sarà soprattutto una lunga stagione di miseria per troppi, che non so come riusciremo a contrastare, e su questo sarà il caso di mettersi a progettare.

È passata la prima settimana della “fase due”, ho visto un affastellarsi di polemiche spicciole, ricerca di capri espiatori, un dir vergogna vergogna a piene mani: sembra, quasi, una voglia di ritrovarsi, di accoccolarsi dentro a un io combattente, di rintanarsi comodi in quella buca (cara vecchia buca di sempre, invece io sento nostalgia della folla, delle persone attaccate l’una all’altra, dei bar pieni, a raccontarmi cose con gente che non conosco e non rincontrerò mai più). E quando vedo questa sorta di impazzimento collettivo penso che ci è mancato, nelle settimane tremende, lo sfogo vero: un pianto. Noi dovevamo piangere, dentro a quella tormenta, una bella caragnata collettiva, sui social o in tv, che desse sfogo alle emozioni e le trasfigurasse. Colonna sonora “Ghost town”, Rolling Stones.

Ma tant’è, ora ci si può muovere, camminare. Con il vantaggio che una passeggiata sembra oro colato, e che da qui in avanti ogni giorno sarà necessariamente più ampio. Ricostruire: l’abbiamo fatto sempre, negli anni passati, dopo i fallimenti, stupiti ogni volta del passar della nottata, il tempo che lavora a nostro favore luna dopo luna. Il nuovo inizio potrebbe esser facile, dopo un grado zero così, tutto apparirà un successo dopo l’altro. Posso immaginare una buona lena cosmica, collettiva. Vita tua vita mea è ineludibile: tanto più ricomincerai a camminare tu, e a guadagnare, tanto ne beneficerò anch’io.

Il mio orizzonte oggi è limitato, ora è l’estate, il mare: lo ritroverò? Ci tornerò? Vinello bianco e insalata di polpo sulla terrazza. Sotto, la tavola blu, il vento. Le case bianche e le piazzette, e il nuoto, l’acqua, l’aria, il mio corpo e altri corpi. E guardare quell’orizzonte lì: illimitato.

Io voglio tornare: tornerò a casa.

Andrea Berrini

Andrea Berrini, scrittore, editore e imprenditore, è autore di L’anima dei Bulldozer. Viaggio nella nuova baraccopoli africana (Baldini e Castoldi, 1996), Storie africane (EDT, 2001), Noi siamo la classe operaia (Baldini Castoldi Dalai, 2004), Il romanzo del microcredito (Baldini Castoldi Dalai, 2008), Scrittori dalle metropoli (Iacobelli, 2017). La sua casa editrice si chiama Metropoli d’Asia e si occupa di narrativa asiatica contemporanea. Ha vissuto a lungo a Pechino, Bombay, Singapore. È il fondatore di CreSud, e si è occupato di microfinanza per venticinque anni.

 

#ioriparto

È difficile sapere che cosa i giorni strani e durissimi della quarantena hanno depositato dentro di noi, ma prima o poi dovremo riprendere il controllo delle nostre vite, e non sarà facile. È così che in EDT abbiamo pensato di dedicare uno spazio all’idea di ripartenza. Abbiamo chiesto agli autori e agli amici della casa editrice uno spunto che possa essere di ispirazione in questo complicato frangente. Sono voci da tutto il mondo e ci proporranno un concetto, un ricordo, un libro, un brano musicale: il loro punto di ripartenza personale, una fonte a cui attingere l’energia di cui ora avremo bisogno, all'insegna del motto #ioriparto.