Vent'anni senza Muro

Saggi e narrazioni

Vent'anni senza Muro

Una rivoluzione non-cruenta. Il sogno sfuggente di un mondo democratico.
O un altro dei falsi miti dell'Occidente?

9 novembre 1989: a Berlino inizia la caduta del Muro. Quella che per quasi tre decenni è stata una cortina della vergogna, una barriera quasi invalicabile tra due schieramenti contrapposti, crolla e diventa il simbolo di una nuova era di speranza e di pace. Ma fu davvero così? La caduta del Muro segnò davvero una data cruciale per l'avvento della democrazia?

A vent'anni dalla fine della Guerra Fredda molti interrogativi restano aperti. Abbiamo chiesto agli autori della collana Storia Globale del Presente, la serie che EDT dedica ai decenni cruciali che ci separano dal 1989, di commentare quell'evento ormai lontano ma ancora profondamente inscritto nella coscienza collettiva, in Europa ma non solo.

Padraic Kenney
autore di Il peso della libertà. L'Europa dell'Est dal 1989

Credo nella rivoluzione, anche se questa affermazione oggi ha un significato un po’ diverso rispetto al passato.

Un tempo significava: “Credo che le masse opppresse si solleveranno e distruggeranno l’ordine borghese.”

Forse per qualcuno è ancora così, ma la vittoria non violenta della democrazia e della pace sociale sulle dittature comuniste ha trasformato il nostro modo di pensare ai cambiamenti politici.

Certo, i processi di trasformazione democratica non sempre funzionano – soprattutto quando sono imposti da un esercito invasore – ma può accadere che vadano a buon fine, come avvenuto nel 1989.

Quando cadde il Muro di Berlino io ero in Polonia, giovane laureato in cerca di materiale per uno studio sugli operai polacchi e la trasformazione comunista degli anni ’40.

All’epoca le persone speravano in un cambiamento politico positivo, ma le loro aspettative furono distrutte dalla dittatura e dalla divisione dell’Europa. Per fare un bilancio, credo che gli eventi di venti anni fa ci offrano molte ragioni per essere ottimisti.

 

Alexander Dawson
autore di Il sogno del primo mondo. Il Messico dal 1989

Quando seppero della Caduta del Muro, per i messicani non fu per nulla chiaro quale rilevanza l'evento avesse per le loro vite.

La fine degli anni Ottanta fu un periodo duro per il Messico. L’economia andava male, dava pessimi segnali da anni. Un presidente impopolare aveva appena preso il potere con elezioni a detta di molti truccate. Berlino era un posto molto lontano....

Il Messico si aprì notevolmente nel decennio successivo. Nel 1999 il paese aveva ormai una stampa relativamente libera, elezioni trasparenti e pulite, e per la prima volta i messicani iniziavano a sperare in una fine degli abusi giudiziari a danno dei diritti umani. Alla fine degli anni Novanta, inoltre, l’economia messicana poteva affermare di essere una delle più aperte.

In genere i messicani non pensano a exploit isolati quando riflettono su questi cambiamenti, perché in buona parte furono la conseguenza di anni di sacrificio.

Ancora, vale la pena domandarsi se questa visione non risenta di una leggera miopia. Mercati aperti, democrazia, diritti umani – tutto questo era nello spirito dei tempi e fu consegnato alla storia dagli studenti che affrontarono i carriarmati in Piazza Tiananmen, dai pezzi di Muro che cadevano a Berlino, e da una generazione di filosofi ed economisti che celebravano la “fine della storia”. I messicani senza dubbio assimilarono tutto questo, ma realizzarono ogni cosa con le proprie forze.

 

Aditya Nigam & Nivedita Menon
autori di Potere e contestazione. L'India dal 1989

L’immagine della caduta del Muro di Berlino ha acquisito un importante significato solo per l’autodefinitasi Sinistra indiana.

Il crollo dell’Unione Sovietica, invece, ebbe un’ampia risonanza per la lunga storia di amicizia tra i due stati.

Questa Sinistra, però, non è per nulla una presenza trascurabile. Comprende un’ampia gamma di tendenze politiche, dalla sinistra “ufficiale” dei partiti comunisti e naxaliti/maoisti, per i quali l’evento rappresenta una terribile perdita, a quella che abbiamo definito la Nuova Sinistra, che dalla caduta del Muro di Berlino ha tratto insegnamenti molto diversi.

Per noi, l’evento rappresenta la possibilità di rinnovare la visione di una politica di sinistra democratica e libera dall’eredità stalinista, così come quella di un mondo senza barriere, capace di andare oltre l’imperialsmo e il nazionalismo xenofobo. Infine, rappresenta il valore innegabile delle aspirazioni umane e il sogno sempre sfuggente di un mondo democratico.

 

Hyung Gu Lynn
autore di Ordine bipolare. Le due Coree dal 1989

Riflettendo sull'anniversario della Caduta del Muro di Berlino e le sue implicazioni per le due Coree, vorrei evidenziare tre aspetti.

Il primo riguarda l’unificazione delle due Germanie, che in qualche modo è diventata un punto di riferimento anche per la penisola coreana. Le similitudini tra le due realtà sono numerose, così come numerose sono anche le differenze, ma fare confronti è certamente utile anche solo dal punto di vista dell’indagine storica.

In secondo luogo, le incisive immagini della Caduta del Muro hanno contribuito a mantenere il mito dell’unificazione come un processo capace di risolvere i principali problemi che affliggono le due Coree. Dobbiamo tenere presente che il processo di unificazione, se può essere costruttivo e liberatorio, può portare con sé anche la creazione di nuove gerarchie e ineguaglianze.

In terzo luogo, a un livello più astratto, possiamo dire che se da un lato il Muro limitava l’accesso fisico all’altra parte, paradossalmente creava una porta simbolica che permetteva all’immaginazione di proiettare proprio su quell’altra parte tutte le paure, le speranze, i desideri e i sogni. E questa proiezione era tanto più vivida quanto più limitato era l’accesso.

Tutto questo fa capire che i tentativi di comprendere la Corea del Nord (in questo caso l’altra parte) devono essere modulati dalla consapevolezza che l’indagine può mettere in evidenza i nostri pregiudizi più ancora che svelare l’identità dell’Altro.

 

Alejandra Bronfman
autore di Isole in movimento. Cuba e i Caraibi dal 1989

I Caraibi vissero il 1989 in modi diversi. Gli haitiani erano nel pieno della transizione democratica e forse pensarono che la Germania Est seguisse il loro esempio.

Nel 1986, infatti, avevano vinto la battaglia contro il lungo regime di Duvalier. Alla fine del decennio la parte democratica era sul punto di cogliere il momento opportuno per eleggere Jean-Bertrand Aristide, che avrebbe dominato l’instabile scena politica del paese nel decennio successivo.

Con uno stato d’animo del tutto diverso, i cubani avranno avuto qualche timore per la prospettiva di una fine dei sussidi sovietici, che fino a quel momento erano stati un elemento chiave della loro economia. Il venir meno del sostegno da parte dell’URSS, in realtà, innescò una serie di cambiamenti: un drammatico periodo di scarsità, seguito però dall’apertura dei mercati e dalla ripresa. Paradossalmente, Cuba ne approfittò per recuperare i principi del socialismo e per assicurare una continuità nel cambiamento.

Una situazione più torbida si verificò in Giamaica, come conseguenza di ciò che intanto avveniva in Colombia. Questo paese centroamericano, infatti, ricevette finanziamenti statunitensi per la lotta alla droga e la morsa si chiuse intorno ai trafficanti di cocaina di Bogotà. Il risultato fu che i giamaicani ebbero maggiore libertà di azione. Denaro e armi invasero le strade di Kingston, mentre i giovani perdevano il lavoro e le loro vite.

 

Stephen Lovell
autore di Destinazione incerta - La Russia dal 1989

Riguardo alla Russia, il 1991 è un anno che di solito gli storici considerano più importante rispetto al 1989*. E i distinguo non finiscono qui.

L’aspetto paradossale, quando si riflette sull’idea che molti hanno della Russia, è quanto poco il paese sembri essere cambiato dal collasso del Comunismo. Si fa un gran parlare di una nuova Guerra Fredda, la Russia pare bloccata in una specie di sistema basato sullo strapotere del gas e dell’autoritarismo, mentre la nostalgia dell’epoca in cui il paese era una superpotenza dilaga per le strade di Mosca.

Per quanto sia facile trarre conclusioni eccessive sugli elementi di continuità con l’era sovietica, val la pena ricordare che non molto è cambiato dopo il collasso dell’URSS. La Russia non è diventata una democrazia liberale e non ha smesso di considerare Ucraina, Georgia e le altre ex repubbliche sovietiche come territori sui quali esercitare in modo legittimo la propria influenza.

Da un altro punto di vista, invece, il collasso del Comunismo fu davvero un momento di rottura nella storia russa. Dopo quasi quattro secoli la Russia smise di essere un immenso impero e, di conseguenza, dovette reinventare se stessa come stato-nazione. Se si considera questo aspetto, il 1989 è una data chiave, quella in cui la Russa rinunciò ai territori dell’Est europeo che ne avevano fatto, per tutto il lungo dopoguerra, uno dei più immensi imperi del mondo, con tutti i limiti e gli aspetti negativi di un tale strapotere. Così, in definitiva, oggi si può dire che quella transizione da impero a nazione non sia stata tra le più felici, che non si sia ancora conclusa ma che, per lo meno, sia stata avviata.

* Nell’agosto di quell’anno venne tentato un colpo di stato che, pur fallendo, segnò la fine dell’Unione Sovietica. Il giorno di Natale Gorbaciov rassegnò le dimissioni e Boris Eltsin salì al potere [N.d.R.]

 

Timothy Cheek
autore di Vivere le riforme. La Cina dal 1989

Il più grande paese del mondo è ancora governato da quello stesso partito comunista che salì al potere ai tempi di Stalin.

Sarà anche caduto il Muro di Berlino, le due Germanie si saranno pure riunificate, l’URSS sarà anche solo un ricordo e l’Europa orientale sarà ormai parte dell’ordine mondiale neoliberale fatto di capitalismo di mercato ed elezioni democratiche, ma la Cina resta una sbalorditiva eccezione a tutto questo.

Il suo governo non è eletto: il PCC continua a governare sia formalmente sia fattualmente e conta circa 68 milioni di iscritti, la maggior parte dei quali in posizioni di responsabilità. Eppure, la Cina sta avendo chiaramente successo in termini di PIL, influenza internazionale e accumulo di armamenti.

È una forza con cui bisogna fare i conti. Secondo l’ipotesi della ‘fine della storia’, avanzata da Francis Fukuyama e altri negli anni Novanta, il comunismo era destinato a implodere e a lasciare la strada alla democrazia liberale e al libero mercato. La recente ascesa della Cina, tuttora guidata da un partito comunista, mette in dubbio la validità di questa teoria neoliberale. *

testo estratto dal volume Vivere le riforme. La Cina dal 1989